House of Telefilm Forum - Tutto sui telefilm!

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    CITAZIONE (Connie @ 29/3/2021, 22:09) 

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    TESSLOTTERY


    Controllato

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    Capitolo 8



    Una volta dentro la stanza d'albergo, House chiuse la porta con il suo bastone, le afferrò la borsa dalla spalla e la lanciò con il suo zaino sulla sedia più vicina. I suoi capelli erano arruffati per la pioggia e piccole gocce gli cadevano dalla punta del naso.

    Cameron pensava che fosse affascinante comunque, i suoi occhi azzurri luminosi nella stanza scarsamente illuminata come dei riflettori che la cercavano. I suoi capelli le gocciolavano sulla schiena. Allungò le mani per tirarli su in un nodo, quando House si fece avanti e iniziò a sbottonarle il cappotto, facendolo scivolare via dalle spalle e focalizzandosi sulla camicetta mentre lei gli stava davanti tremando e sbattendo le palpebre.

    "Cosa fai?" chiese, battendo i denti.

    "Ho bisogno di toglierti questi vestiti bagnati di dosso" lui rispose, con un implicito “Duh" nella sua voce "Dovrei togliere anche i miei, a pensarci bene".

    Un tocco delle sue mani sulle sue spalle nude mentre le faceva scivolare via la camicetta e lei si sentì come bruciare dal suo tocco. Lui si chinò e la baciò e lei si dimenticò completamente di tutte le domande che aveva in testa e lasciò che i suoi sensi prendessero il sopravvento, aiutandolo a togliersi il cappotto e la camicia mentre le sue dita le scivolavano sui capelli bagnati per inclinarle la testa appena a destra. I suoi baci erano urgenti e teneri allo stesso tempo, alimentando il fuoco che aveva acceso dentro di lei e riscaldando la sua pelle gelata.

    Si tolse le scarpe mentre lui le levava i pantaloni. Lanciandoli lontano, lei quasi inciampò mentre lui la stringeva forte contro di sè, quasi inghiottendola nel suo abbraccio. Come se avessero una volontà loro, le mani di lui si spostarono sui suoi bicipiti, sulle sue spalle e fino alle scapole, assaporando la sensazione dei suoi muscoli che si muovevano sotto la punta delle di dita: era un'opera d'arte che respirava, incredibilmente bella e sensuale.

    Facendola avvicinare al letto, House agganciò il bastone alla testiera e si sedette, trascinandola con sé in modo che fosse a cavalcioni sulle sue ginocchia. Le fece scivolare le mani lungo la schiena e le aprì il reggiseno, tirandolo giù per le braccia e gettandolo via. Le dita di lei gli aprirono i jeans, frenetiche per unire i loro corpi completamente. E per tutto il tempo continuarono a baciarsi e a toccarsi, conoscendo i loro corpo, assaporandosi e divorandosi.

    Le sue mani erano nate per toccarla, lei pensò, mentre si modellavano sulle sue curve. Sotto i suoi palmi, la sua pelle umida le inviava piccole scariche elettriche e sembrava come se il sangue le vibrasse nelle vene. Non sarebbe mai stata abbastanza vicina a lui, anche se ci avesse provato, fondendosi con il suo corpo mentre le faceva scivolare le mutandine lungo le gambe e la incoraggiava ad accettalo. L'aveva tenuta sul filo dal primo bacio e, quando si abbassò su di lui, riuscì a malapena a contenere il piacere che scorreva attraverso di lei come una corrente.

    La strinse come se fosse preziosa per lui e la fece sentire al sicuro e amata mentre si muoveva contro il suo corpo. Ogni tocco era un'estensione del modo protettivo in cui l’aveva vegliata a casa di Pearl; parlava con le mani e con i suoi baci, sembrando incapace di parlare, di raccontarle le cose che aveva sempre desiderato sentire. Ma non poteva essere sicura che lui fosse consapevole di ciò, se sarebbe durato o se l'avrebbe respinta ancora una volta quando tutto sarebbe finito e questo la fece stringere a lui di più.

    I suoi sentimenti per lui quasi si riversarono fuori con le lacrime e nel modo in cui mormorò il suo nome e lo strinse a sé mentre veniva. Era tutto ciò che poteva fare per trattenersi dal sussurrare parole d'amore che avrebbero sicuramente creato una spaccatura tra di loro mentre lui la seguiva al culmine dell'estasi.

    Mentre lei riprendeva fiato, lui la tenne contro di sé, la testa poggiata nell'incavo del suo collo, le sue dita che accarezzavano il rapido pulsare della sua giugulare. Lungo tutta la sua schiena, le sue grandi mani calde si mossero con movimenti rilassanti mentre il suo respiro iniziava a rallentare.

    Fuori, il cielo era nero come la mezzanotte, con lampi che penetravano attraverso la fessura nelle tende con frequenza e i tuoni che scuotevano i cieli e Cameron sospirò di sollievo che fossero lì nella stanza d'albergo invece che nel mezzo della tempesta.

    Premendole un bacio sulla testa, la spinse via da lui e lei tirò giù le coperte in modo che potesse strisciare sotto di esse. Separata dal calore del suo corpo, il freddo della stanza le fece venire la pelle d'oca e guardò mestamente la pila di vestiti bagnati sul pavimento.

    House accese la lampada, afferrò il suo bastone, lo stese verso la sedia e agganciò la tracolla del suo zaino, trascinandolo sul letto. Frugando dentro, ne tirò fuori una camicia pulita e asciutta e gliela passò e lei sorrise con gratitudine, indossandola, inalando il profumo di lui che era nel tessuto.

    House posò di nuovo zaino e si sfilò i jeans, lasciandoli cadere a terra e tirandosi su i boxer prima di scivolare sotto le coperte accanto a lei. In quel momento si rese conto che lui si era preso cura di lei prima, di nuovo, e quel pensiero la toccava tanto quanto il suo fare l'amore e le portò così tanta gioia che ne fu quasi sopraffatta, dovendo sbattere le palpebre per fermare le lacrime. Se fosse stato possibile, avrebbe congelato quel momento e sarebbe rimasto lì con lui sempre, in quel posto dove le sue mura erano cadute e lui si era fatto vedere nella sua tenerezza e nell'affetto che aveva sempre sospettato che fosse capace di dare.

    "Tutto bene?" le chiese e lei riuscì solo a deglutire le lacrime che aveva n gola e annuì.

    Quasi riverentemente, House tirò fuori il diario di Pearl dallo zaino, mettendolo sulle gambe. Il libro era rilegato in pelle marrone consumata, spessa diversi centimetri con pagine color seppia e una striscia di nastro blu sbiadito in mezzo. Emanava l'odore di muffa di un'epoca passata, aggrappata ai granelli di polvere che fluttuavano lontano dall'antica carta all'interno.

    House la guardò con le sopracciglia inarcate e chiese "Sei pronta?".

    Lei annuì di nuovo e si avvicinò a lui in modo che potessero leggere insieme. Lui aprì la copertina e lessero il nome Struana McCready, 1843, scritto in una graziosa scrittura.

    House andò alla pagina successiva e la storia iniziò.


    Continua…
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    Capitolo 7



    Quando lei entrò nel parcheggio dell'ospedale, lo vide subito, in piedi accanto alla sua macchina come se la stesse aspettando.

    Battendo il bastone contro l'asfalto, la guardò parcheggiare. Lei scese, mettendosi la borsa sulla spalla e chiudendo la portiera con una gomitata.

    Appoggiato al cofano della sua Dynasty malconcia, sembrava... quasi sconfitto. Eppure, sotto la stanchezza sul suo volto, c'era una determinazione, una risolutezza d'acciaio che aveva visto molte volte prima d'ora, ma non aveva mai mantenuto una tale intensità come in quel momento.

    "Ho bisogno che tu venga con me" House disse senza preamboli.

    Alle sue parole, il suo cuore scivolò da qualche parte nelle vicinanze del suo stomaco e iniziò a eseguire una marcia veloce. Non aveva bisogno di elaborare; sapeva esattamente cosa intendeva.

    "Non può essere Wilson o Foreman o Chase o Henry o chiunque altro. Non funzionerà. A meno che non sia tu a venire con me" lui continuò, spostandosi dalla sua macchina per mettersi davanti a lei.

    Distogliendo lo sguardo, lei fissò il vetro, l’acciaio e i mattoni dell'ospedale, desiderosa di entrare e rinchiudersi dentro, fingere che non ci fosse una casa piena di terrore su una piccola isola al largo delle coste dell'Atlantico.

    "So cosa ti sto chiedendo" le disse, facendo scorrere una mano dal braccio al suo polso e poi accarezzandole il palmo con il pollice.

    "Lo so. Se ci fosse un altro modo...".

    Non poteva parlare, il suo cuore era tornato su dallo stomaco e si era conficcato in gola. Ogni parte di lei urlava in segno di protesta e, se non la stesse toccando in un modo che era sia confortante che sensuale, era sicura che sarebbe scappata.

    "La risposta è lì, Cameron. Dobbiamo tornare indietro" la guardò in viso e continuò "Penso che lo senti anche tu".

    Per quanto riluttante fosse ad ammetterlo, aveva ragione. Sentiva l'attrazione di quel luogo, il bisogno di risposte. Era proprio il motivo per cui continuava a tornare a quel vecchio molo. Ma la paura di quel posto sorpassava sempre ogni esigenza che sentiva per svelare il mistero. Forse una parte di lei sperava che House lo capisse da solo, o forse non voleva davvero le risposte, perché allora avrebbe potuto perdere quel legame che sentiva con lui.

    "House... non so se posso" disse alla fine, mentre si muoveva tra le sue braccia, tremando e stringendolo per timore che le sue ginocchia cedessero.

    "Pensi che lascerei che qualcosa ti ferisse?" le chiese e i suoi occhi contenevano promesse che quasi la fecero piangere "Non lascerò il tuo fianco nemmeno per un secondo. Fidati di me, per favore".

    Facendo un respiro profondo, annuì, ancora terrorizzata... ma non poteva non dirgli di no. Non ci sarebbe mai riuscita "Quando?" chiese.

    "Adesso".

    "Adesso?".

    "Non abbiamo un paziente. Facciamolo adesso e finiamola. Come strappare un cerotto".

    "Sì, così semplice" lei mormorò, infilando le chiavi in tasca.

    Le aprì la portiera del passeggero e lei entrò, lasciandosi cadere la sua borsa ai suoi piedi e mettendosi la cintura di sicurezza mentre lui girava intorno alla macchina e saliva, passandole il bastone. Accese l'auto e partirono, un senso di sventura aleggiava nello spazio tra di loro.

    Il viaggio a Silver Pine Beach fu troppo breve e anche troppo lungo tutto in una volta. Nessuno dei due parlò mentre percorrevano l'autostrada oltre pinete e sonnolente città costiere. Cameron voleva chiudere a chiave le portiere dell'auto e restare dentro quando arrivarono, ma House la stava già aspettando fuori e, non molto lontano, lei avvistò Henry Matthews in piedi alla fine del molo, dove la sua barca era attraccata. Con un profondo sospiro, afferrò la sua borsa e si diresse alla Jolly Jane senza dire una parola.

    Henry la salutò e lei cercò di sorridere, ma si ritrovò incapace e alzò semplicemente la mano in un mezzo gesto di saluto.

    "Siete sicuri di volerlo fare?" le chiese, guardando da lei ad House, che si limitò ad annuire e salire sulla barca.

    "Va bene, allora" disse Henry, lanciando le corde sul ponte per poi salire a bordo "Vi porterò più vicino che posso e poi potrete prendere il gommone, io aspetterò a distanza. Tenete a mente che non posso restare qui troppo a lungo. È prevista di nuovo una tormenta, più tardi. Estelle mi ammazzerebbe se non tornassi prima. Si preoccupa" disse e guidò la barca lontano dal molo e fuori nel porto e presto la piccola isola e la casa di Pearl divennero più che semplici puntini all'orizzonte.

    Il retro della casa si alzava fuori dalla terra gelata, gettando un'ombra scura sul terreno che sembrava avere una vita propria.

    House prese i remi e portò entrambi a riva, legando il gommone con cura a un affioramento di radici e cespugli lungo la battigia.

    Prendendo la mano di Cameron, la strinse e la tenne nella sua mentre risalivano solennemente l'argine. Il terreno era irregolare, pieno di buchi e radici che spuntavano dalla terra, quindi si mossero lentamente.

    Mentre si avvicinavano alla casa, Cameron indicò due piccole e grigie pietre sporgenti dalla terra appena oltre la porta sul retro, lapidi per i cari defunti. House lasciò solo la sua mano abbastanza a lungo da spingere via alcune delle erbacce troppo cresciute per leggere la prima lapide, consumata e sbiadita:

    Abel Cottin
    1802 - 1863
    Conosciuto da molti, amato da pochi.



    Cameron sbatté le palpebre, rattristata da un'eredità così tragica, e si chiese chi potesse mettere qualcosa di così terribile su una lapide, che tipo di uomo poteva essere così inamabile da ispirare un tale epitaffio. Guardando House, lo vide scuotere la testa come se fosse appena emerso da una pozza ghiacciata e lei rabbrividì e gli avvolse la mano libera intorno al braccio.

    Passando alla tomba successiva, quasi inciamparono in una piccola lapide tozza che era quasi scomparsa nella vegetazione, dove riposava tra le due tombe più importanti. Un cherubino scheggiato sedeva sopra di essa e la lapide leggeva:

    Stephen Alistair Cottin
    Nato il 3 marzo 1847
    Morto il 15 marzo 1847
    Figlio prediletto di Abel e Struana Cottin



    Il cuore di Cameron si strinse dolorosamente per la perdita che quelle persone avevano subito e una strana sensazione la pervase, come se li conoscesse e stesse soffrendo con loro. Incapace di sopportarlo, trascinò House verso l'ultima lapide, che diceva:

    Struana "Pearl" McCready Cottin
    Nata l'11 marzo 1823
    Morta il 31 dicembre 1863
    Il mare l'ha portata a casa



    Appena oltre il piccolo cimitero, c'era un vecchio albero nodoso, alto e spoglio contro il cielo invernale. Stava come una sentinella, rami come dita artritiche che volteggiano sulle tombe come in attesa di scacciare ogni intruso. Qualcosa al riguardo fece tremare Cameron con apprensione. Uno dei suoi arti fragili, dondolando nel vento pungente dell'inverno, raschiava il legno delle assicelle della casa come un artiglio e il suono provocato le fece venire la pelle d'oca.

    House le strattonò la mano e si fecero strada verso gli scalini marci della veranda sul retro, ogni nervo che le diceva di scappare. Lo scricchiolio della porta sembrava un avvertimento e lei fece un respiro profondo e si disse di essere coraggiosa. House entrò per primo, tirandola dietro di sé in cucina. La stanza era calda e nella stufa a legna c'era il bagliore di braci ardenti come se qualcuno avesse cucinato di recente un pasto, ma c'era anche una sensazione di abbandono, un brivido che penetrava in profondità nelle ossa di Cameron.

    Sopra di loro, dei passi scandivano un ritmo sul pavimento di legno duro e House e Cameron si bloccarono per un secondo, guardando le travi della cucina come se potessero vedere lo spirito inquieto al secondo piano.

    "Cosa stiamo cercando?" sussurrò Cameron, aggrappandosi al braccio di House.

    "Fogli, documenti, cose del genere" lui disse, guidandola verso il corridoio che portava alla stanza di fronte.

    Un'ombra balzò fuori dalla porta principale e Cameron udì il fruscio di tessuto, come il taffetà del vestito del ballo di fine anno di sua madre. Una leggera brezza si mosse contro la sua pelle, il profumo di acque di rose che si diffondeva. I suoi istinti di lottare o fuggire aumentarono di intensità e lei soffocò un piccolo sussulto.

    Come se potesse leggere la sua reazione, sentendo il battito del suo polso aumentare di velocità, House si fermò e la fece avvicinare, dicendole dolcemente: "Va tutto bene, Cameron".

    Si voltarono ed entrarono in salotto, fermandosi a dare un'occhiata al posto sul pavimento dove avevano cercato di dormire quella notte fatale. Il camino era freddo, ma pieno di legna nuova come se fosse pronto ad essere acceso contro un'altra fredda sera d'inverno e le candele erano state collocate in tutta la stanza, alcune bruciate fino a diventare semplici mozziconi, i loro stoppini oscurati da fiamme passate. Le spesse tende di velluto erano tirate contro la pallida luce pomeridiana.

    House lasciò andare la mano di Cameron per un momento, passandole il bastone in modo che potesse estrarre una torcia dal suo zaino. L'accese e illuminò la stanza, osservando l'oscurità della carta sbiadita sulle pareti.

    Su un piedistallo contro una parete c'era un grande libro antico, una Bibbia, all'interno della quale la storia della famiglia era stata scarabocchiata in maniera aggraziata: matrimoni, nascite, morti. Le pagine, delicate e sottili come un fazzoletto di carta, quasi si dissolsero al tocco di House. Ma dentro lessero che Abel e Struana si erano sposati nel maggio del 1843 ed ebbero un secondo figlio nel 1848, John Abel Cottin, la cui morte non era stata registrata. Infilato nel retro del libro era un ingiallito atto della casa a nome di Abel Cottin, ripiegato con cura, quasi consumato.

    Qualcosa nella stanza li guardava, Cameron ne era sicura, sebbene fosse solo una sensazione. Ma le fece venire i brividi.

    Chiudendo la Bibbia con attenzione, House si voltò e la tirò verso il corridoio e la scala che portava al secondo piano. Piccoli tremori partirono dai piedi di Cameron e salirono fino alla testa mentre si fermavano di fronte al primo gradino.

    "Se vuoi aspettare qui o fuori, salirò da solo" disse House, accarezzandole il dorso della mano con il pollice in modo calmante.

    L'idea di separarsi, di House solo in quelle stanze, era molto più spaventosa che salire insieme, e la sua immediata reazione fu un enfatico "No" e scosse la testa "Sto bene. Sono... solo rumori e ombre, giusto?" e gli spiriti e le voci disincarnate, pensò con un brivido.

    Lui annuì e la guardò negli occhi per un momento, comunicandole un messaggio di orgoglio per il suo coraggio "Sì, rumori e ombre" ripetè, anche se il suo tono sicuro non riuscì a convincerla, né sembrava convincere lui.

    Gli prese il braccio e si misero in moto, il raggio della torcia ad aprirgli la strada. Il senso di una presenza invisibile diventava più forte a ogni gradino superato e, in cima, notarono il tremolio del lume di una candela proveniente dalla camera da letto più grande. House fece una pausa, solo un secondo, e poi entrarono.

    Sulla grande cassettiera c'era una grossa candela, due più piccole stavano sulla specchiera, la luce delle fiamme riflessa nello specchio dietro di loro.

    Chinandosi verso di lei, House le parlò a bassa voce, dicendo "Andiamo solo a controllare i cassetti e ce ne andiamo".

    Lasciò andare la sua mano con riluttanza e aprì il cassetto superiore e poi il successivo e il successivo, ritrovando nient'altro che sottovesti e corsetti e altri indumenti intimi di un'altra epoca. Nonostante la loro età, avevano ancora il profumo di acqua di rose come aveva sentito prima al piano di sotto ed era come se chi li avesse indossati, li avesse appena riposti.

    Si sentì stranamente conflittuale all'idea di toccarli, intromettendosi nelle cose di qualcuno morto da tempo e tuttavia ancora molto presente. Mantenne un occhio su House, che stava frugando in altri cassetti. Nell'angolo notò che cominciava a formarsi una nebbia, proprio mentre House stava in piedi con un vecchio libro di cuoio in mano.

    "Ho trovato un diario" lui disse quasi trionfante e, proprio quando finì, quella familiare voce maschile profonda disse dalla poltrona: "Sono stanco di aspettare" con un ringhio sommesso e Cameron si portò una mano sulla bocca per non gridare.

    Sorpreso, House inciampò di nuovo verso Cameron e lei gli afferrò il braccio, guardando la nebbia formare la vaga figura di un uomo, accasciato sulla poltrona.

    "Aspettare cosa?" chiese House e gli occhi di Cameron si spalancarono per l'orrore di parlare... ad un fantasma.

    "Pearl" rispose lo spirito con voce arrabbiata "Sono stanco di aspettare Pearl".

    "House, per favore, andiamo" supplicò Cameron, tirandogli il braccio come una bambina impaziente.

    House ficcò il libro nello zaino e la ricondusse alle scale e fuori dalla porta sul retro. Una volta fuori, e superate le lapidi, Cameron guardò indietro e, nella finestra di una delle camere da letto, vide la stessa donna spettrale che aveva visto in salotto a Capodanno.

    Guardandoli dall'alto, la donna sembrò alzare la mano in un semplice gesto e poi svanì.

    Il cielo era scuro e minaccioso mentre si dirigevano verso il gommone. Cameron pensò come ogni volta che arrivavano in quel luogo il tempo cospirava per aggiungere fuoco all'atmosfera inquietante.

    House li riportò alla Jolly Jane, i bicipiti che si flettevano sotto le maniche della giacca a vento, e lei guardò meravigliata come le sue braccia si muovevano in perfetta simmetria. Era così bello, la stupì che non sapesse quanto fosse bello, che potesse pensare di non essere "carino, affascinante o particolarmente attraente". Lui era tutte quelle cose e molto di più per lei, l'intera esperienza con la casa di Pearl l'aveva cambiata e li aveva cambiati e si rese conto che avrebbe rivissuto tutto di nuovo solo per avere quella vicinanza con lui.

    Pearl li aveva in qualche modo riuniti e, anche se solo per un po', era valso ogni secondo di paura.

    Arrivarono alla Jolly Jane e lei salì la scaletta, lo zaino di House appeso sulla spalla con la sua borsa. Appena Henry sollevò il gommone e House si fece strada con cautela dietro di lei, la pioggia cominciò a scrosciare e tuoni rimbombarono a distanza.

    "Ecco che arriva!" gridò Henry "Ci bagneremo!" avviò la barca e si diressero verso la riva a tutto gas.

    House e Cameron ignorarono la pioggia mentre guardavano la casa di Pearl.

    La tempesta diventava sempre più feroce e solo le luci di Silver Pine Beach sembravano guidarli indietro. Come aveva predetto Henry, erano inzuppati quando raggiunsero la riva. Di ritorno al molo di Henry, lo aiutarono a ormeggiare la barca, lanciando corde scivolose per la pioggia che legarono.

    E poi si separarono con saluti e ringraziamenti.

    House mise la stufa al massimo appena furono al sicuro nella sua macchina, ma i suoi tergicristalli tenevano a malapena il passo con l'acquazzone e così, come prima, seguirono la luce gialla in lontananza e finirono nel parcheggio dell'hotel.


    Continua...
  4. .
    CITAZIONE (Connie @ 29/1/2021, 22:29) 
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    Capitolo 18



    "Questa" disse Belle, ma anche se aveva affermato di aver preso la sua decisione, non mise giù nessuna delle cravatte, continuando a tenere prima una, poi l'altra contro la sua camicia blu.

    Nascondendo un sorriso, Gold rimase pazientemente in piedi, inclinando il mento in modo da poter guardare sua moglie indietreggiare sulla sua scelta del suo abbigliamento. Ricordava vagamente di aver menzionato che una delle cose che voleva dal loro matrimonio era qualcuno che lo aiutasse a scegliere le sue cravatte al mattino e nei dieci giorni trascorsi da quando avevano pronunciato i loro voti sulla spiaggia, Belle si era lanciata a capofitto in quel compito.

    Al momento, oscillava tra un motivo cachemire viola e una cravatta composta da vortici di verde e argento. Gold generalmente indossava una cravatta bordeaux con quella particolare camicia, ma stava imparando che sua moglie aveva un gusto più avventuroso.

    "Questa" lei ripeté, abbassando la mano che teneva la cravatta viola per indicare che il vortice verde e argento era il vincitore di quel giorno.

    "Sei sicura? Non c'è bisogno di prendere una decisione così precipitosa" lui scherzò.

    Belle spalancò gli occhi "Scusami, Diarmid. Non volevo farti perdere tempo".

    Aveva preso le sue parole esattamente nel modo sbagliato e Gold evitò di sospirare mentre le avvolgeva le braccia intorno alla vita, abbracciando lei, cravatte e tutto il resto "Ti sto prendendo in giro. Mi piace alquanto essere disturbato così".

    Non del tutto convinta, Belle si mordicchiò il labbro inferiore "Se la sera prima mi dicessi quale camicia vuoi indossare, potrei sceglierla in anticipo".

    Se lo avesse fatto, non avrebbe avuto il piacere di guardarla studiare la sua vasta collezione di cravatte e vedere il modo in cui i suoi occhi si illuminavano quando trovava qualcosa che le piaceva. Non sarebbe stato in grado di godersi il calore di lei in piedi di fronte a sè, la sua piena attenzione concentrata su di lui mentre riduceva le sue opzioni fino a trovare la corrispondenza perfetta, i suoi occhi azzurri concentrati che tradivano quanto seriamente avesse preso quel compito. Per i minuti che le ci volevano per scegliere la sua cravatta, Gold era il centro del mondo di Belle, e gli piaceva così.

    "E allora quale sarebbe il divertimento?" lui chiese con leggerezza, lasciando che le sue dita vagassero in modo da poterle solleticare il fianco finché lei non sorrise "Indosso le cravatte solo per il piacere di guardarti mentre le scegli".

    La palese bugia la fece ridere come sperava "Perché indossi un abito ogni giorno?" chiese, inclinando la testa con curiosità "Se io lavorassi da casa, non mi toglierei mai il pigiama".

    "Mi ricorda chi non sono più" una volta, non era stato altro che un ragazzo scarno e povero con un accento di Glasgow incomprensibile. Gold aveva passato decenni a plasmare se stesso nell'uomo che voleva essere: istruito, colto, cittadino. Gli abiti erano parte integrante di tutto ciò. I suoi vestiti ricordavano costantemente che aveva raggiunto il suo obiettivo.

    Belle aveva capito. La maggior parte del guardaroba che aveva portato con sé nel Maine era stata gettata nella spazzatura per essere sostituita con pezzi alla moda. Anche la sua collezione di biancheria intima e biancheria da notte aveva subito una trasformazione, sebbene avesse deciso di tenere il suo pigiama con i dinosauri. Gold ne era tranquillamente soddisfatto. Aveva dei bei ricordi di quel particolare ensemble.

    “Immagino che abbia senso. Uno di questi giorni, mi piacerebbe vederti con un paio di jeans, però" i suoi occhi scintillarono su di lui.

    "Vedremo".

    Contento di lasciare cadere la questione, Gold seguì sua moglie al piano di sotto, in cucina, trovando Dove e Moe già lì. Quello era stato un altro cambiamento. Dove aveva approfittato delle conseguenze del crollo di Moe il giorno del loro matrimonio per istituire un nuovo programma, uno che facesse uscire regolarmente l'uomo dalla sua stanza.

    “Buongiorno, Moe. Dove" Gold fece un cenno a ciascuno di loro mentre si sedeva.

    "Buongiorno, signor Gold".

    Moe borbottò un saluto, lasciando Gold a chiedersi se il motivo per cui il padre di Belle non aveva mai detto il suo nome fosse perché non riusciva a ricordare quale fosse. Per come erano i parenti acquisiti, pensava che le cose potevano essere drammaticamente peggiori.

    Moe si illuminò quando Belle si chinò per baciargli la guancia prima di andare a mettere una fetta di pane nel tostapane. Sebbene Gold l'avesse informata che era più che capace di prepararsi la colazione, sua moglie sembrava provare piacere nel farlo per lui.

    “Vuoi un po' di marmellata di fragole stamattina? Magari del burro di mele?".

    "Marmellata" ribatté lui, prendendola in giro con tono deciso. Belle amava rinfacciargli contro la sua austera colazione preferita e avrebbe tolto tutto il divertimento se lui avesse mai accettato uno dei suoi suggerimenti per ravvivare il pasto.

    Dopo aver spalmato il pane tostato con la marmellata e versato il caffè, Belle si servì una porzione di farina d'avena cotta che la governante aveva preparato per tutti e si sedette "Come vanno i lavori?".

    Quando aveva suggerito di trasformare il seminterrato in un laboratorio per Moe, aveva immaginato di assumere operai che avrebbero potuto completare il progetto in pochi giorni. Invece, Dove aveva suggerito che lui e Moe facessero il lavoro da soli, suggerendo che sarebbe stato buono per l'uomo assumersi un compito del genere. Una settimana dopo l'inizio della ristrutturazione, Gold aveva dato un'occhiata ai loro progressi e si era mentalmente rassegnato al fatto che il seminterrato sarebbe stato una zona di costruzione almeno fino alla fine dell'anno.

    Dove, invece, sembrava perfettamente soddisfatto "Le cose stanno andando molto bene".

    "Abbiamo trovato un giradischi" contribuì Moe.

    “Sentiti libero di buttarlo. È rotto" Gold ricordava vagamente di aver riposto quello stereo con l'intenzione di ripararlo un giorno, ma la tecnologia era avanzata prima che quel giorno arrivasse. Fino a quando Moe non ne aveva parlato, si era dimenticato che si trovasse ancora laggiù.

    Dove e Moe si scambiarono uno sguardo d'intesa "Penso che possiamo rimediare".

    Sotto il tavolo, Belle gli prese la mano e la strinse, con gli occhi lucenti "Scommetto che ci riuscirete. Papà è sempre stato bravo a sistemare le cose".

    Moe chinò la testa alle sue lodi, incapace di nascondere la sua espressione compiaciuta, e Gold dovette sorridere. Moe si stava dimostrando più difficile da gestire di quanto avesse immaginato possibile, ma i suoi piccoli successi rendevano Belle così felice che non poteva rimpiangere il tempo e gli sforzi. La settimana successiva c'era il suo appuntamento con il dottor Kurz e Gold poteva solo sperare che, con la guida del medico, le sue condizioni avrebbero continuato a migliorare.

    "Quali sono i suoi piani per oggi, signora Gold?" la domanda di Dove fece capire a Gold che Belle non avrebbe partecipato al progetto del workshop quel giorno. Ora che padre e figlia trascorrevano un'ora al pomeriggio giocando a giochi da tavolo insieme, Belle era stata più disposta a fare un passo indietro e lasciare che Dove si occupasse di Moe mentre lei perseguiva i propri interessi.

    "Fammi indovinare: tè e un libro nel giardino sul retro" ogni volta che Belle non era con lui o con Moe, la si poteva generalmente trovare a leggere al sole e la sua pelle pallida stava cominciando a prendere colore. Ora che mangiava regolarmente cibo vero, il suo viso stava perdendo il suo aspetto pieno e Gold approvava calorosamente quei cambiamenti. Dal primo momento in cui l'aveva vista, aveva pensato che Belle fosse bellissima, ma ora sembrava sana e vibrante mentre il peso di anni di preoccupazione svaniva.

    "No" Belle strinse le labbra in un sorriso riservato "È una sorpresa".

    Gold inarcò le sopracciglia con interesse, ma lei ignorò la sua silenziosa richiesta di ulteriori informazioni "Tornerò a casa in tempo per il pranzo" promise.

    Niente nel suo linguaggio del corpo indicava un bisogno di sospetto, quindi Gold scelse di essere piacevolmente disorientato mentre si ritirava nel suo ufficio per iniziare la giornata di lavoro. George King stava organizzando una cena alla fine della settimana, quindi doveva assicurarsi di essere aggiornato sulle attività dei suoi soci prima di incontrarli faccia a faccia.

    Cena: Gold sbuffò al termine. Niente di quegli incontri era mai stato una festa, ma sarebbe stato troppo prolisso chiamarli per quello che erano: un'opportunità per una cerchia di persone ambiziose e con pochi scrupoli di riunirsi e tentare di fiutare le reciproche debolezze su base regolare.

    Quella volta avrebbe avuto un'arma segreta, se era opportuno riferirsi a sua moglie in quel modo. Gold aveva indicato che avrebbe portato un "più uno" alla cena di venerdì, ma nessuno che lo conosceva si sarebbe aspettato che il suo "più uno" sarebbe stato una moglie, tanto meno una moglie come Belle.

    Non vedeva l'ora di vedere l'espressione sul viso di Cora.

    Belle era sembrata nervosa quando le aveva parlato dei loro piani per venerdì sera, ma aveva fede che sarebbe stata all'altezza della situazione. Ancor più della reazione di Cora nei riguardi di Belle, voleva sentire la valutazione di Belle di Cora e di tutti gli altri. Non avrebbe confuso le acque condividendo le proprie opinioni su di loro in anticipo, ma probabilmente avrebbe dovuto avvertirla che nessuna delle persone che avrebbe incontrato aveva idea della sua esistenza.

    Una parte di lui voleva davvero che fosse così. Poteva partecipare alla riunione di venerdì da solo e non dire una parola dell'esistenza di Belle. Poteva restare nascosta in casa con i suoi libri, suo padre e il suo tè, al riparo da occhi indiscreti e commenti dispettosi. Non aveva bisogno di trascinarla con lui nel nido di vipere.

    Proteggerla da quella parte della sua vita le avrebbe reso un disservizio. Belle sembrava fragile e delicata. In verità, aveva una corazza di ferro e, dopo anni di discussioni con Moe, difficilmente sarebbe stata intimidita da George King e dalla sua gente. Era sua moglie, la sua compagna, non la sua protetta. Belle aveva un acuto senso dell'osservazione e una mente veloce. Averla al suo fianco sarebbe stato un vantaggio in molti modi.

    Soddisfatto della sua decisione, Gold rivolse la sua attenzione al suo lavoro, individuando alcune voci interessanti sepolte in uno dei rapporti trimestrali di James King. Non poteva essere niente, ma anni di esperienza avevano insegnato a Gold che valeva la pena indagare su stranezze e discrepanze, per quanto apparissero insignificanti. La figlia di Cora, Regina, non lo aveva mai completamente perdonato per aver denunciato il suo tentativo di appropriazione indebita. Se non altro, le aveva insegnato a coprire meglio le sue tracce.

    Fu solo quando la porta del suo ufficio si aprì, ore dopo, che si rese conto di quanto si fosse perso nel mare di numeri e piccoli dettagli che costituivano la sua vita lavorativa. Si appoggiò allo schienale della sedia della scrivania, sussultando quando il suo collo protestò.

    "Sono a casa!" annunciò Belle mentre entrava nella stanza, con un vassoio di zuppa e panini tra le mani e un sacchetto degli indumenti drappeggiato sul braccio destro.

    "Ho notato" lui disse con una certa asperità. Era un pessimo saluto, ma i suoi occhi bruciavano e la sua testa cominciava a battere forte in reazione ritardata allo strabismo al monitor del suo computer. Gli venne in mente il pensiero che avrebbe potuto avere bisogno degli occhiali e Gold si accigliò all'idea.

    Belle si bloccò "Ti sto interrompendo? Torno dopo?".

    Se lei non lo avesse interrotto, avrebbe avuto un'emicrania, e solo per questo avrebbe dovuto essere gentile "No, non andare. Ti chiedo scusa" Gold indicò vagamente se stesso "Mal di testa".

    Immediatamente, l'espressione di Belle si addolcì in una di compassione "Vuoi che ti faccia un massaggio alle spalle?".

    Quella era un'altra piccola abitudine che Gold amava della vita matrimoniale. Sua moglie era sorprendentemente brava a massaggiargli il collo e sembrava felice di dimostrare le sue capacità al minimo accenno.

    "Metti giù il vassoio prima" le consigliò quando lei si spostò per girare intorno alla scrivania e lo sguardo sorpreso che lanciò al vassoio, come se si fosse dimenticata di tenerlo in mano, lo fece ridere. Si sentiva già meglio.

    Belle mise il vassoio sulla scrivania e posò la busta degli indumenti sul bracciolo del divano prima di spostarsi dietro di lui. Senza che lui dicesse una parola, le sue dita trovarono i punti che facevano male e premette abbastanza forte da fargli lacrimare gli occhi prima di iniziare il massaggio, allentando la tensione. Gold gemette, abbandonandosi di più alle sue cure.

    "Ecco fatto..." Belle mormorò "Semplicemente rilassati".

    Al suo tocco magico era impossibile fare altro. La sua testa si stava già schiarendo quando la pressione dietro i suoi occhi iniziò a svanire. Si muoveva di nodo in nodo come se fosse guidata dal laser, sciogliendo ogni centimetro mentre si faceva strada dal suo collo alle spalle, lasciandolo sciolto e rilassato.

    Gold sospirò di beato sollievo "Grazie, tesoro".

    Belle gli strinse affettuosamente la parte superiore delle braccia, poi lo abbracciò mentre gli baciava la sommità della testa "Prego. Ti senti meglio?".

    "Come nuovo".

    "Bene" gli sorrise mentre si muoveva intorno alla scrivania e Gold aggrottò la fronte, notando qualcosa che non aveva visto prima.

    "Che c'è?" Belle si fermò trascinando una sedia più vicino alla sua scrivania in modo che potessero mangiare insieme.

    Sembrava diversa. Era lo stesso vestito che indossava quella mattina, lo stesso sorriso che gli rivolgeva sempre, ma c'era qualcosa di diverso in lei. Gli ci volle un momento per comprendere.

    "Ti sei tagliata i capelli".

    Belle si portò una mano imbarazzata ai capelli e fece un rapido sorriso "Sorpresa" cinguettò, non sembrando del tutto convinta mentre gli tendeva le mani “Ho fatto le unghie, anche. E le sopracciglia. Ho fatto un massaggio e anche un trattamento viso".

    I suoi capelli erano ben 10 cm più corti di quella mattina, la lunghezza ridotta dava nuova vita ai suoi riccioli "Sei adorabile".

    Belle sospirò di sollievo "Avevo paura che ti saresti arrabbiato. Non avevo intenzione di tagliarli così tanto, ma non facevo un taglio da anni e le mie estremità erano un inferno".

    Gold era sconcertato "Perché diavolo dovrei essere arrabbiato?".

    Rannicchiandosi sul sedile, Belle prese la zuppa “Ho pensato che avresti voluto che li tenessi lunghi. Voglio dire, so che non sono cortissimi, ma più corti".

    Il pensiero che potesse voler controllare il suo aspetto non gli andava a genio "Sono i tuoi capelli, tesoro. Se piacciono a te, è tutto ciò che conta".

    Per qualche ragione, le sue parole la fecero accigliare "Non ti interessa come sembro?".

    Non sembrava esserci una risposta giusta a quella domanda "Suppongo che preferirei che tu non avessi i capelli più corti dei miei, ma a parte questo, se vuoi sperimentare, sentiti libera. Se un look non ti soddisfa, potranno sempre ricrescere".

    Questo sembrò rasserenarla "Sto cercando di prepararmi per venerdì. Non voglio metterti in imbarazzo davanti ai tuoi amici".

    "I miei soci in affari" la corresse "Sarebbe difficile chiamare qualcuno di loro miei amici".

    Belle scosse la testa con indulgenza "Non voglio metterti in imbarazzo di fronte ai tuoi soci in affari".

    Era più nervosa per la cena imminente di quanto si fosse reso conto e Gold allungò una mano per accarezzare la sua "Non lo farai. Saranno troppo occupati a morire di shock sul fatto che tu esisti".

    Le sopracciglia di Belle si sollevarono "Non gli hai detto che ti sei sposato?".

    "È una sorpresa".

    "Ok..." Belle fissò nel vuoto per lunghi istanti prima di scrollarsi di dosso visibilmente qualunque cosa stesse pensando. Fece cenno verso la busta degli indumenti “Ho comprato un vestito. Mi dici se è appropriato per la cena?".

    "Ovviamente".

    A prima vista, l'abito grigio con la scollatura leggermente scavata e la gonna svasata sembrava quasi l'uniforme di una scolaretta, ma quando Belle lo girò per rivelare che la schiena quasi completamente nuda, coperta solo da pizzo nero trasparente, non sembrava più così innocente "È perfetto".

    Annuendo soddisfatta, Belle rimise il vestito nella busta e tornò al pranzo “C'è qualcosa che dovrei sapere o qualcosa che vuoi che faccia? Hai detto che volevi che prestassi attenzione a cose che potresti non notare, ma come faccio a sapere di cosa si tratta?".

    Gold sbatté le palpebre per la sorpresa quando Belle ripeté a pappagallo le sue stesse parole di settimane prima, apparentemente sua moglie non dimenticava mai nulla di ciò che diceva, e non era sicuro se questo avrebbe reso la vita matrimoniale più facile o più difficile "Sii te stessa. Per ora, tutto ciò che stai facendo è tastare le acque".

    Belle ridacchiò “Mi sento una spia. Ora che ci penso, non sono nemmeno sicura di sapere cosa tu faccia".

    “Possiedo una varietà di interessi commerciali. Per lo più sposto cose: beni, denaro, cose del genere".

    Astuti occhi azzurri si strinsero su di lui "Tipo riciclaggio di denaro?".

    Gold ridacchiò “Niente di così eccitante. Tutto quello che faccio è strettamente legale" questo non voleva dire che non sfruttasse al massimo ogni scappatoia legale, ma Gold si vantava di aver fatto fortuna senza mai violare la legge. Pagava persino le tasse in tempo.

    "Quindi, non devo preoccuparmi che l'FBI si presenti alla nostra porta un giorno?".

    "Temo di no. Sei sposata con un uomo d'affari molto noioso che passa le sue giornate sforzando gli occhi a fare i conti con semplici numeri. Ogni tanto incontro altri uomini d'affari molto noiosi che hanno altre specialità. Ecco perchè la cena di venerdì".

    "E i tuoi viaggi a Boston".

    "Esattamente. Anche se quelli non sono mai stati noiosi".

    Quando Belle lo guardò in cerca di una spiegazione, Gold le prese la mano "Mi piaceva molto la vita notturna di Boston".

    Le guance di Belle si colorarono quando colse il suo significato "Stai flirtando con me".

    "Se non posso flirtare con mia moglie, con chi posso flirtare?" l'aveva distratta con successo dalla sua preoccupazione per venerdì, ma un senso di disagio aleggiava ancora nella sua mente. Avrebbe dovuto parlarle di Cora? Non erano informazioni che gli piaceva rivelare, ma non sarebbe stato giusto per Belle non avvertirla. Presumeva che Cora avrebbe avuto il buon senso di tenere la bocca chiusa, ma quella donna non faceva sempre la cosa più sensata.

    Belle si stava avvicinando per un bacio quando l'orologio a pendolo nel corridoio suonò le due "Papà!".

    "Cosa?" un istante dopo, si rese conto di cosa stava parlando. Le due erano il suo appuntamento fisso con suo padre per i giochi da tavola e a Moe non andava bene quando ritardava. Gold lo aveva imparato nel modo più duro.

    "Prendi il tuo panino" le consigliò, avvicinandosela giù per un bacio veloce.

    "Mi farò perdonare più tardi" promise Belle prima di precipitarsi fuori dalla stanza, panino in mano.

    Gold rabbrividì al pensiero. Sin dalla loro prima notte di nozze, Belle aveva dimostrato di essere una compagna di letto appassionata ed entusiasta e non vedeva l'ora di vedere quale forma avrebbe preso il suo "perdono".

    Con i pensieri della notte a venire ad inondargli la mente, era facile ignorare i pensieri di Cora. Glielo avrebbe detto più tardi, promise Gold a se stesso. Era giusto. Sperava che non lo avrebbe giudicato troppo duramente.

    Ma non quella notte. Mancavano ancora giorni al venerdì. Aveva un sacco di tempo.

    Glielo avrebbe detto più tardi.


    Continua...
  6. .
    CITAZIONE (sir F ~ @ 3/1/2021, 11:27) 
    Il cappello parlante ha parlato!
    La casata a cui appartieni è 🐍SERPEVERDE🐍
    Ecco qua il tesserino da esporre in HOME!

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    AVVISIAMO CHE IL 16 ERA GIA OCCUPATO, SCEGLIERE UN NUMERO DIVERSO TRA QUELLI LIBERI! GRAZIE :)

    :B17: :B17:
  7. .

    Capitolo 6



    House e Cameron rimasero sconcertati per tutta la situazione, anche se la vita al PPTH era tornata alla normalità, almeno in superficie. Ogni volta che le veniva chiesto, Cameron rispondeva solo alle poche domande su cosa fosse successo, scegliendo di tenere i bei ricordi per sè, perché le sembravano sacri. E le parti brutte erano semplicemente troppo surreali per essere spiegate. House ignorava tutte le domande al riguardo, come se potesse fingere che non fosse mai accaduto ignorando la cosa. Cameron aveva continuato a lavorare come se nulla fosse cambiato, anche se tutto era cambiato.

    House era stato molto più sottomesso nelle settimane successive. Aveva preso in carico le differenziali come al solito e si era immerso
    in ogni nuovo caso, ma mancava della sua solita scintilla, insieme al suo umorismo pungente. Lei temeva che li avesse lasciati nella vecchia casa inquietante e non ci sarebbe stato alcun modo per farlo tornare e questo, a sua volta, aveva aggiunto benzina sul fuoco del suo senso di perdita. Lui le mancava, soprattutto di notte, quando ogni cigolio delle assi del pavimento e ogni ombra le mandavano il cuore alle stelle per la paura, come se i fantasmi l'avessero seguita a casa. Era irrazionale, lo sapeva, ma niente di quella notte a casa di Pearl lo era stato.

    Cominciò a chiedersi se ogni nuovo paziente fosse reale o solo un altro frutto della sua immaginazione ed era come se lo fosse, aspettando che qualcuno le dicesse che era ufficialmente impazzita. E in fondo alla sua mente, quei due giorni con House erano bloccati in continuo replay. Col passare delle settimane, poteva vedere dall'aspetto smunto di House che anche lui non stava dormendo bene, tanto quanto lei, il che non andava affatto bene. Sapeva che stava avendo dubbi su tutto, proprio come lei, e che probabilmente anche lui stava iniziando a chiedersi sulla sua sanità mentale.

    Anche se non avevano mai parlato della loro esperienza tra di loro, il legame tra loro poteva ancora leggerlo nei suoi occhi. A volte lo sorprendeva a fissarla e non era capace di distogliere lo sguardo, ricordando il suo tocco, il modo in cui l'aveva fatta sentire al sicuro, il conforto che le aveva offerto in quei due giorni. Ma poi lui si voltava e ritornava al lavoro come al solito.

    E poi, un giorno, mentre era di cattivo umore, lui scattò contro di loro, sbattendo il bastone contro gli scaffali per i risultati dei test per il loro paziente.

    "Non sono ancora pronti" rispose Chase, scansandosi dall'ira del bastone di House.

    "Beh, sbrigatevi!" ribatté House "Sono stanco di aspettare".

    Un brivido freddo le corse lungo la schiena a quelle parole. Lui emise un sospiro quasi impercettibile quando il suo sguardo incontrò
    il suo, il ricordo che aleggiava nell'aria tra loro, e poi si rinchiuse nel suo ufficio e lei non lo vide per il resto della giornata.

    Uscì da lavoro con l'intenzione di tornare direttamente a casa e finire gli avanzi di pasta nel microonde, ma invece girò la sua macchina in altra direzione. Dirigendosi a sud, verso un vecchio molo battuto dalle maree appena fuori dall'autostrada, guidando come con il pilota automatico, ascoltando il richiamo della sirena di un luogo che trovava affascinante e spaventoso al contempo.

    Quando arrivò, l'auto di House era già lì, proprio come era stato un paio di settimane prima. Parcheggiò e scese, trovandolo sul bordo del piccolo molo, guardando verso l'acqua la casa di Pearl. Come prima, le sembrava un marinaio venuto fuori da un tempo passato, segnato dalle intemperie come la vecchia casa, con il vento dall'oceano che faceva svolazzare il suo cappotto e le rughe sul suo viso che raccontavano storie di mare.

    Non disse niente e nemmeno lei, mentre stavano lì vicini contro il rigido vento dell'oceano. I gabbiani volavano e gracchiavano su di loro e le onde mostravano spume bianche come pizzo mentre si avvicinavano agli scogli. Il piccolo motoscafo, ancora legato proprio dove l'avevano lasciato, ondeggiava nell'acqua come un giocattolo da bagno per bambini. Dall'altra parte dell'insenatura, la casa sembrava essere cresciuta, sporgendo dalla terra scura come una cosa vivente. Sembrava espandersi e contrarsi come se prendesse un respiro profondo e le finestre sembravano occhi, vegliando su coloro che la guardavano.

    Tremante, Cameron allungò una mano e prese quella di House e lui gliela strinse.

    "Quante volte sei tornato qui?" lei chiese, stringendogli la mano.

    "Non lo so. Un paio di volte" lui disse, guardandola per un momento prima di voltarsi a guardare la casa "Tu?".

    "Un paio di volte" lei rispose. Ed era vero; aveva fatto diversi viaggi, stranamente attratta da quel punto come se vi potesse trovare delle risposte. Non era sorpresa che fosse tornato anche lui, desiderava solo che fossero andati insieme "Cosa pensi che sia?".

    "Non lo so" lui rispose, ma lei poteva dire che la sua mente era impegnata a cercare di risolvere quel mistero.

    Rimasero in quel modo per quelle che sembrarono ore, senza parlare, solo tenendosi per mano e guardando la vecchia casa. Anche da quella distanza, la casa terrorizzava Cameron. Ma cosa la spaventava ancor di più era la possibilità... l'improvvisa realizzazione di cosa stava passando per la mente di House.

    "Per favore, dimmi che non ci tornerai" gli disse, però sapeva già che lui voleva e lo avrebbe fatto.

    Si voltò e la guardò, in silenzio, ma nei suoi occhi lei trovò la risposta che non voleva, un mare tempestoso di azzurro in attesa
    della calma. Doveva sapere, doveva risolvere il mistero, anche se significava tornare in quel posto e lei, dentro di sé, maledisse la sua ostinata persistenza.

    "House, per favore non farlo" lo supplicò "So che hai bisogno di risposte, ma... per favore, non tornare lì".

    L'unica risposta che ottenne fu il suono delle onde che si infrangevano e sulla spiaggia rocciosa e il piccolo motoscafo.

    "Che ne dici se prometto che non andrò da solo" le disse infine e lei sapeva che a quel punto era il meglio che poteva sperare, anche se voleva aggrapparsi di nuovo a lui, se non altro poi per impedirgli di tornare in quella casa terribile.

    Rimasero ancora qualche minuto e poi lui si voltò verso di lei di nuovo e chiese "Hai fame?" e lei annuì sebbene non fosse sicura di poter effettivamente mangiare dopo aver saputo dei suoi piani.

    "Bene. Seguimi. Conosco un posto".

    La condusse a una tavola calda a Silver Pine Beach, non lontano dall'hotel dove avevano trascorso la notte dopo essere stati salvati dall'isola. Il posto era un pittoresco ristorante in stile anni Cinquanta, con sedili rossi e piccoli juke box su ogni tavolo. House superò molti sedili vuoti e giunse direttamente a un paio occupati da una coppia di anziani seduti insieme su un lato.

    Henry Matthews si alzò e strinse la mano di House, salutandolo con un caloroso "Dottor House, è un piacere rivederla. E ha portato la dottoressa Cameron, vedo. È bello rivedere anche lei. Questa è mia moglie, Estelle".

    Estelle era minuta accanto a Henry, con i capelli argentei tagliati corti, con penetranti occhi verdi e un ampio sorriso amichevole. Lei
    annuì, facendo rimbalzare allegramente gli orecchini che indossava accanto alle sue guance e disse "Piacere di conoscervi".

    Cameron era così sbalordita che non riuscì nemmeno a salutarla all'inizio. House la spinse delicatamente verso i sedili e poi si sedette accanto a lei, prendendo un menu dal distributore di tovaglioli e passandogliene uno.

    "Scusatemi" riuscì finalmente a dire, prendendo il menu laminato e poi appoggiandolo sul tavolo davanti a sè "Piacere di conoscerla, Estelle. Henry ha parlato molto bene di lei".

    Estelle arrossì dolcemente e colpì leggermente Henry sul braccio con il dorso della mano "Oh, scommetto che l'ha fatto" ribatté con un occhiolino "Probabilmente ho detto che tutto quello che faccio è tormentarlo".

    La cameriera si avvicinò e ordinarono da bere, Cameron riuscì a malapena a pensare a causa di tutte le domande che le ronzavano nel cervello. Era chiaro che House fosse andato lì proprio per incontrarsi con Henry; non aveva idea di quante volte fosse già successo o perché.

    Come se potesse leggere la sua mente, lui si voltò verso di lei e disse "Henry è un professore di Storia in pensione della Chandler University. Ed Estelle è una bibliotecaria qui in città".

    "Esatto" intervenne Henry, con evidente orgoglio per sua moglie "Anche se era la capo bibliotecaria dell'università dove ci siamo conosciuti".

    "Bello" fu tutto ciò che Cameron riuscì a dire. Guardandosi le mani, si rese conto che stava tormentando un tovagliolo con le dita, facendo la figura di un serpente e dovette chiedersi perchè si sentiva così in prossimità della casa di Pearl, trasformandola in un disastro nevrotico.

    La cameriera ritornò per prendere le altre ordinazioni e lei vagamente ricordò di aver indicato qualcosa sul menu prima di rimetterlo
    dietro il distributore di tovaglioli. Sotto il tavolo, muoveva le gambe nervosamente, sentendo lo stomaco stringersi. Era sicura che non sarebbe riuscita a mangiare nulla, non importava quello che aveva ordinato. House le mise una mano sul ginocchio come per calmarla e lei mise la sua mano sulla sua per avere un contatto, per tenerlo lì accanto a sè.

    "Beh, Estelle ed io abbiamo fatto una piccola ricerca sulla casa" Henry disse "Non c'è molto da dire. La maggior parte dei documenti dell'epoca sono andati perduti. Ma, per quanto ne so, è stata costruita da Abel Cottin a metà del 1840 e rimase nella famiglia, fino a quando la città la rivendicò".

    "La società storica una volta ha parlato di rinnovarla e trasformarla in un museo" aggiunse Estelle "Ma la vecchia casa sembra avere un modo per... respingere le persone".

    Henry ridacchiò e disse "È vero. Sono andato là una volta per esplorare e non sono riuscito ad entrare. Dicono che sia infestata. Non ci diedi molto peso allora, ma quando mi sono avvicinato abbastanza..." si interruppe con un visibile brivido "Non conosco nessuno che sia mai durato più di un paio di minuti dentro".

    Cameron sentiva come se il sangue fosse defluito dal suo corpo e strinse più forte la mano di House. Vide il suo pomo d'Adamo muoversi con difficoltà mentre beveva un sorso di soda e rimetteva giù il bicchiere con un tonfo sordo.

    "Perché è così interessato a quel posto?" chiese Henry e lo sguardo di House saettò via e poi di nuovo su di lui mentre alzava le spalle e rispondeva "Sono un uomo curioso".

    "C'era qualcosa sulla moglie di Abel?" Cameron chiese "O di un bambino".

    "Il nome della moglie era Struana" rispose Estelle "Lo ricordo perché è un nome molto insolito. E credo che avessero due bambini, maschi, ma uno è morto in tenera età e l'altro ha lasciato la casa appena maggiorenne. Non abbiamo notizie di nessun altro discendente".

    "Nessuno di nome Pearl?" Cameron insistette, la sensazione dello sguardo di House su di sè la fece arrossire.

    "No, non che io ricordi. Perché me lo chiede?".

    "Pensavo di aver sentito quel nome quando eravamo sull'isola" Cameron rispose con un'alzata di spalle disinvolta, sebbene le domande nella sua testa si moltiplicarono come conigli.

    Quando arrivò il loro cibo, lei prese il suo piatto e iniziò a chiacchierare di tutto e niente, venendo a conoscenza di informazioni su Henry ed Estelle, mentre House mangiava tranquillamente accanto a lei.

    Fuori dalla tavola calda, salutarono Estelle e Henry. Cameron si appoggiò alla sua macchina, le braccia incrociate al petto mentre guardava House che guardava la coppia allontanarsi "Perché non mi hai detto che eri in contatto con Henry? Che stavi cercando di scoprire della casa di Pearl?".

    "Non lo so" lui disse, guardandola in faccia. La raggiunse e le scostò una ciocca di capelli dalla guancia, però la brezza della sera glieli scompigliò di nuovo. Le sue dita indugiarono sulla sua pelle mentre considerava le sue parole "Tu eri spaventata in quella casa. Immagino non volessi che provassi ancora più paura".

    Quelle parole, e la tenerezza con cui le disse, le fecero provare un brivido dalla testa ai piedi. Gli si avvicinò di più, abbracciandolo, la lana ispida del suo cappotto era ruvida contro la sua pelle "Vorrei che fosse sempre così" lei disse, mentre lui la stringeva più forte nel suo abbraccio.

    "Ma non può essere" le mormorò contro la testa "Lo sai che non posso".

    "Perchè no?" chiese, alzando le mani fino al suo viso, afferrandogli dolcemente le guance baffute, tenendolo lì in modo che non potesse distogliere lo sguardo.

    "Perché... non posso".

    "Non accetto questa risposta" lei disse, astenendosi a malapena dallo scuotere fisicamente "Ci tieni a me, so che è così".

    "Non posso essere l'uomo che tu hai bisogno che io sia" le rispose e la tristezza nei suoi occhi le fece venire le lacrime agli occhi.

    "Lo sei già, House. Non ho mai voluto che tu fossi nient'altro".

    "Non funzionerà, Cameron. Mi dispiace" si districò da lei e salì in macchina, aspettando che lei entrasse nella sua per poi seguirla fuori città, di nuovo verso Princeton.


    Continua...
  8. .
    CITAZIONE (sir F ~ @ 24/12/2020, 15:37) 
    ⭐️ ULF 1° Lottery - Sailor Inners VS Sailor Outers ⭐️
    ESTRAZIONI CONCLUSE!

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    Controllato



    Buona feste anche a voi :B12:
  9. .
    :A9:
  10. .

    Capitolo 5



    House li portò direttamente all'ospedale e condusse Cameron in Clinica, indicandole un lettino e arrotolandole una manica in modo da poterle prelevare del sangue. Divertita, lo lasciò fare e poi fece altrettanto con lui.

    Sulla soglia, Wilson rimase sconcertato, avendoli appena raggiunti "Avrei fatto io" disse, guardando da House a Cameron.

    "Tu esegui i test" rispose House, mettendogli le fiale in mano "C'è una macchina per la risonanza magnetica con il nostro nome sopra".

    Cameron lo seguì nella sala di controllo della risonanza magnetica, appoggiandosi contro il muro con le braccia incrociate sul petto mentre lui accendeva il computer.

    "Prima le donne" lui disse, passandole un camice da ospedale "Cambiati".

    Lei chiuse la porta del corridoio e si cambiò proprio lì nella stanza, House si girò sulla sedia per guardare.

    "Sai che c'è un paravento nell'altra stanza dietro cui ti puoi cambiare?".

    Scrollando le spalle, gli rivolse un sorriso timido e rispose "Mi hai già vista nuda" dandogli le spalle, attese che le legasse la parte posteriore del camice. Ma aspettò e aspettò ancora un momento, prima di voltarsi per trovarlo a fissarle il culo.

    Guardandola negli occhi, iniziò ad allacciarle il camice e disse "Mi chiedo come possa apparire un'erezione sotto una risonanza magnetica. Penso che lo scopriremo a breve".

    "Andrò a fare una risonanza magnetica al tuo altro cervello" lei scherzò "Quindi quel mistero rimarrà irrisolto".

    La parola mistero sembrò congelarli entrambi per un secondo e tutte le tracce di umorismo furono cancellate dalla stanza. Lei rimpianse di aver aperto bocca e lasciò cupamente la stanza, andandosi a sdraiare sul lettino della risonanza magnetica. Solo un pezzo di vetro separava le due stanze, ma non poteva vederlo dall'interno e il clack clack clack della macchina sembrava soffocare il mondo, facendola sentire isolata e sola.

    La sua voce giunse dall'altoparlante proprio quando stava iniziando a sentire quello che poteva solo diagnosticare come un attacco di panico.

    "Rilassati Cameron, hai quasi finito. E poi toccherà a te vedermi di nuovo nudo. Sei fortunata".

    "Non vedo l'ora" gli disse, sorridendo. Sdraiata, prese un paio di profondi respiri per rallentare il battito cardiaco frenetico, aiutata dal suono di lui che canticchiava leggermente una melodia nel microfono. Dopo poco, lei riconobbe la melodia e il suo cuore ricominciò a correre per nuove ragioni mentre ricordava le parole.

    'Sei calda, sei reale, Mona Lisa?

    O sei solo una fredda e solitaria, adorabile opera d'arte?’


    Commossa dalle parole della canzone e dalle parole che le aveva detto anni prima, tutto quello che voleva era sentire le sue braccia intorno, ad assicurarle che era reale e calda e non solo un pezzo d'arte da ammirare da lontano.

    "Va bene, Cameron, hai finito" le disse e lei uscì dal macchinario e ritornò nell'altra stanza, direttamente tra le sue braccia, facendolo inciampare all'indietro per la sorpresa mentre la afferrava.

    "Oh guarda, ecco la mia groupie" lui disse scherzando, tenendola contro di sè "Stai bene?".

    Lei annuì, sbattendo le palpebre mentre cercava di ricomporsi e spiegò "Scusa... è solo che... quella canzone...".

    "Non sei un fan di Nat King Cole?",

    "No... amo Nat King Cole" disse, mordendosi il labbro inferiore con una incertezza nervosa "È solo che mi sento...".

    "Lo so" disse lui, scostandole i capelli dal viso. Nei suoi occhi vi era la comprensione del suo bisogno di stargli vicino, il suo bisogno di mantenere quella connessione "Ho capito. Ma a un certo punto entrambi dovremo superare questa fase appiccicosa. Lo sai, vero?".

    Tutto quello che potè fare fu annuire e allontanarsi, addolcita dal fatto che stesse provando la stessa cosa. Gli consegnò un camice da ospedale e lei cominciò a rimettersi i pantaloni mentre lui si spogliava. Quando fu nudo, indossò il camice e si voltò, aspettando che lei glielo legasse come aveva fatto per lei.

    "Cerca di non fissarmi troppo" le disse, voltandosi a guardarla.

    "Cercherò di controllarmi, ma è un culo così meraviglioso" lei scherzò mentre finiva i nodi.

    Sembrò essere rimasto senza parole per un momento mentre si voltava a guardarla e lei potè leggere i suoi pensieri mentre si chiedeva come potesse trovarlo attraente. Tutto quello che potè fare fu sorridergli.

    "Va bene, vado" lui disse alla fine. Quando arrivò alla porta, si voltò e aggiunse "Parla con me".

    Lui entrò nella macchina e lei la accese, tenendo d'occhio il computer davanti a sè. Avvicinandosi al microfono, disse con una piccola risata "Canterei per te, ma ho una voce terribile" fece una pausa, chiedendosi cosa dire, e poi di colpo si trovò a dirgli una cosa che non aveva mai pensato che avrebbe condiviso "Sai come ho conosciuto mio marito? Frequentavo un corso d'arte con un'amica. Stavamo lavorando alla natura morta e c'era questo ragazzo che doveva venire a fare da modello, ma era in ritardo. Quindi noi eravamo seduti lì ad aspettare e ad aspettare e finalmente è arrivato correndo e la nostra insegnante era così infastidita gli ordinò di sbrigarsi e spogliarsi e stare in piedi sulla piccola piattaforma in modo da poter iniziare. Era... così adorabilmente timido di spogliarsi davanti a noi, ma lo fece comunque. Era bellissimo, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. E lui... iniziò a fissarmi" disse ridacchiando " Beh, proprio quando la lezione stava per finire, un altro ragazzo entrò di corsa, chiedendo scusa per il suo ritardo. Si scoprì che Chris pensava di essersi precipitato nella classe di anatomia. In seguito mi disse che non si sarebbe mai spogliato in circostanze normali, ma... voleva davvero incontrarmi".

    Alla fine della sua storia, lei stava sia ridendo che piangendo e House aveva finito con la sua risonanza magnetica. Quando ritornò al suo fianco, la guardò con un luccichio negli occhi e disse "Avrei preferito una storia su di te che ti spogli, ma... non posso dire di poter incolpare il ragazzo".

    "Hai mai fatto qualcosa di pazzo solo per incontrare una ragazza?" lei chiese mentre lui si vestiva di nuovo.

    "Mi sono unito alla squadra delle cheerleader al college".

    "Eri una cheerleader?".

    "Brevemente. Ma se lo dirai mai a qualcuno, negherò fino alla morte".

    Ridendo, chiese "E ti sei messo con quella ragazza?".

    "Se per mettermi intendi andarci a letto, allora sì. Risultò, tuttavia, che non era necessario entrare a far parte della squadra. Era una facile. E non ne vale davvero la pena. Dai, andiamo a fare l'ECG e l'EEG".




    Gli altri test passarono rapidamente; i risultati della risonanza magnetica, dell'ECG e dell'EEG ritornarono normali. Dovevano solo aspettare le analisi del sangue.

    Mentre aspettavano, House controllò il computer e Cameron controllò le cartelle nel suo ufficio, i registri di laboratorio e la stanza in cui era stata Pearl.

    Proprio come aveva detto Wilson, non c'era nessuna registrazione di una Pearl Cottin in nessuna delle cartelle del PPTH.

    I risultati delle analisi del sangue rivelarono due individui relativamente sani senza alcun apparente motivo per avere le allucinazioni.

    Per la prima volta dopo due giorni House e Cameron si separarono, ognuno verso casa propria con più domande che risposte... e per Cameron una dolorosa solitudine mai provata prima d'ora.


    Continua...
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    Capitolo 4



    Quando Cameron si svegliò, trovò House che scarabocchiava qualcosa sul blocco di carta dell'hotel in dotazione nella stanza. Capì immediatamente quello che stava scrivendo: i suoi pensieri erano andati nella stessa direzione durante la notte.

    La televisione era sintonizzata sui notiziari, scene terribili di relitti della tempesta, mentre fuori la pioggia continuava a cadere, anche se aveva rallentato.

    "Ti ho preso un bagel" disse House, inclinando la testa verso il comodino "E un po' di succo".

    Si voltò e vide un piccolo piatto di carta con un semplice bagel e un piccolo contenitore di crema di formaggio. Accanto c'era un bicchiere di plastica di succo d'arancia con una cannuccia che sporgeva dalla cima. Qualcosa dell'idea che lui l'avesse lascata sola nella stanza, per quanto suonasse sciocco e irrazionale, la ferì. Dopo tutto quello che era successo... lei non voleva essere lasciata sola. Se si fosse svegliata dal suo sonno e non lo avesse trovato, si sarebbe di certo preoccupata.

    "Sei sceso a fare colazione?" chiese lei, cercando di suonare naturale e non come se l'avesse abbandonata.

    Guardandola, lui si fermò, toccando l'estremità della penna contro il blocco di carta. Nei suoi occhi vide la stessa vulnerabilità che provava lei, lo stesso senso di ansia da separazione.

    "Ho corrotto una delle cameriere per portarci su la colazione. Le ho detto anche di portare il caffè. Niente che una lauta mancia non possa ottenere".

    Sollevata, bevve un sorso di succo d'arancia e si sporse a guardare il foglio, i suoi scarabocchi familiari erano obliqui sulla pagina "Ti è venuta qualche idea?".

    "Non ancora" rispose "Solo un elenco di sintomi".

    "Ma non c'è nulla che possa far sì che due persone abbiano le stesse allucinazioni. Non abbiamo mangiato lo stesso cibo, o preso le stesse medicine o... scambiato fluidi corporei. E se fosse ambientale, Chase e Foreman non dovrebbero avere gli stessi sintomi?".

    "Forse non stiamo avendo allucinazioni. Forse solo io".

    "Pensi che io faccia parte della tua allucinazione? House, no" disse, prendendo la lista dei sintomi dalla sua mano "Ci sono anche io qui e questo è vero".

    "Non sarebbe la prima volta che ho allucinazioni che ti coinvolgono" lui ammise, grattandosi il pollice sulla fronte "E diresti queste parole anche se non fossi davvero qui".

    "Hai avuto allucinazioni su di me prima d'ora?".

    Annuendo, la guardò e lei allungò la mano e la posò contro la sua guancia, come per rassicurarlo che quel tocco fosse vero, in carne e ossa, accanto a lui sul letto.

    "Quando mi hanno sparato" lui continuò "Mi sono svegliato e tu eri lì. Sei stata lì per tre giorni".

    Il suo cuore iniziò a battere dolorosamente contro il petto mentre ricordava. Aveva voluto così disperatamente restare al suo fianco, ma aveva capito che si sarebbe solo risentito della sua presenza. Aveva pensato di non essere voluta e faceva male sapere la verità, forse aveva perso un'altra occasione. Un errore che non avrebbe rifatto.

    Abbracciandolo improvvisamente, mormorò "Mi dispiace di non essere stata lì allora. Ma ora sono qui. E se non fossi qui, allora Wilson avrebbe detto qualcosa, giusto?".

    Annuendo di nuovo, ricambiò inaspettatamente il suo abbraccio e rimasero in quel modo per qualche istante, con il cuore che batteva nelle loro orecchie.

    Alla fine, lui si allontanò abbastanza da abbassare la testa e baciarla, una mano scivolò sotto la sua maglietta, il suo grande e caldo palmo scivolò lungo la schiena e la spinse contro il proprio petto.

    "Cosa stai facendo?" chiese lei, senza fiato per il suo bacio.

    "Se sto avendo un'allucinazione, potrei anche trarne vantaggio" rispose, riprendendo a esplorare la sua bocca.

    Voleva protestare di nuovo, dirgli che era tutto vero, ma i suoi pensieri iniziarono a confondersi e tutto ciò che potè fare fu rispondere ai suoi baci.

    La spogliò in pochi istanti, stesa sul letto accanto a lui. Si fermò allora, proprio quando lei pensava che sarebbe implosa dal bisogno, e la guardò e lo fece come se la stesse memorizzando, imprimendosi un'immagine mentale per il futuro. E poi abbassò una mano e con la punta delle dita tracciò dei sentieri sulle sue palpebre, sul ponte del naso, le labbra, l'incavo del collo e fino al punto in cui si incontravano le clavicole.

    Quindi, si spostò più in basso ancora, le dita che le circondarono il seno e i capezzoli e scivolarono giù sull'ombelico. Il suo tocco fu troppo e non abbastanza tutto in una volta e lei pronunciò il suo nome solo per farlo smettere o per sollecitarlo, non lo sapeva.

    Alla fine, lui si abbassò verso di lei, prendendola per il viso e lisciandole i capelli "Bella" mormorò, mentre lei gli fece scivolare la camicia sopra la testa e poi gli tirò giù i pantaloni.

    Non poteva essere più d'accordo, era l'uomo più bello che avesse mai conosciuto.

    Lui unì i loro corpi, spingendole una gamba in alto e intorno ai suoi fianchi, con la mano sulla parte posteriore della coscia, mantenendo un ritmo perfetto.

    Mentre incontrava le sue spinte, lei cominciò a toccarlo dovunque potesse, mappando i muscoli della schiena e delle braccia.

    Le lacrime le scesero sulle guance quando raggiunse l'apice del piacere e lui la seguì pochi secondi dopo.

    Non aveva nemmeno realizzato che stesse piangendo fino a quando lui non allungò la mano e toccò una lacrima con il pollice, come se stesse incorporando la sua impronta digitale in essa. E poi le baciò la guancia, rotolò via e la tirò di nuovo tra le sue braccia.

    Esteriormente, cercò di contenere se stessa, ma dentro era un mix di gioia e dolore, sopraffatta dalla squisitezza agrodolce del momento, avendo paura di non riviverlo mai più.

    "La migliore allucinazione di sempre" lui disse con un sorriso e lei rise, sollevata di avere una distrazione dai suoi pensieri.

    Rannicchiata contro di lui, sapeva che... non ci sarebbe mai stato nessun altro per lei.

    Sapeva già che la mente di lui era tornata sul mistero. Anche la sua. Era tutto legato insieme, il terrore che avevano vissuto e l'intimità condivisa. Non sarebbe mai riuscita a separare la notte peggiore della sua vita da qualcosa di così sorprendente come quel momento, però aveva poche speranze che sarebbe durata a Princeton, quando la vita sarebbe ritornata alla normalità.

    Dal comodino, il telefono di House iniziò a vibrare, saltellando sulla superficie e lui lo afferrò prima che cadesse.

    Sentì Wilson dall'altra parte della linea dire "House, sto arrivando. Sarò lì tra un'ora".

    "Bene" rispose House, chiudendo il telefono e girandosi di nuovo verso Cameron "Quando torniamo, voglio fare un paio di test".

    "Lo so" disse lei con un sorriso "Analisi del sangue, screening tossicologico, risonanza magnetica, EKG, EEG... Qualcos'altro?".

    "Per iniziare" lui rispose, prendendo un sacchetto di patatine e ficcandosene una in bocca.

    Lei mangiò il suo bagel e bevve il succo e poi, con tranquillità, si rivestì. House seguì il suo esempio e poi andarono ad aspettare Wilson all'ingresso, che arrivò puntuale come promesso.

    Il viaggio verso il vecchio molo fu fatto per lo più in silenzio. Wilson fece alcune domande a cui nessuno dei due potè rispondere e quasi subito decise di rimandare l'interrogatorio.

    L'auto di House era proprio dove l'aveva parcheggiata due giorni prima. Uscì dal veicolo di Wilson e rimase in attesa, aspettando che lei aprisse la portiera come se non ci fossero dubbi che sarebbe dovuta andare con lui.

    "Io... ehm, ti seguirò a casa" disse Wilson, massaggiandosi il collo e fissandoli come strani esemplari sotto il microscopio.

    Incapace di resistere, Cameron d'impulso si mise a guardare verso l'acqua, verso la piccola isola e la casa, scioccata di scoprire quanto fosse grande e chiara in lontananza quando era certa fosse stata appena percettibile la prima volta che l'aveva guardata da lì. Tremando un po' a quella vista, spostò di nuovo lo sguardo. E poi...

    "House! Guarda!" indicò il vecchio molo traballante e lì, accanto, era legato il piccolo motoscafo che li aveva trasportati verso l'isola due giorni prima, ormeggiato nell'acqua come se non fosse mai stato spostato.

    Lui si fermò e lo fissò, scosse la testa come per schiarirsi la mente, lanciò un'occhiata brevemente alla vecchia casa e poi semplicemente disse "Andiamo a casa".


    Continua...
  14. .

    Capitolo 15



    "Siamo pronti per domani?".

    La settimana era volata e Gold stava ponendo quella domanda tanto a se stesso quanto per assicurarsi che Belle avesse tutto ciò di cui aveva bisogno per il matrimonio dell'indomani. In meno di ventiquattro ore, Diarmid Gold sarebbe tornato a essere un uomo sposato e sicuramente c'era qualcosa che stava dimenticando. I preparativi erano stati fin troppo facili per un passo così monumentale.

    Belle si rannicchiò contro la testiera del letto mentre considerava la domanda "Credo di si. Ho il mio vestito e il tuo anello. Tu hai il mio. L'officiante ci incontrerà alle dieci e non vedo l'ora di dover firmare gli ultimi documenti".

    Il suo sorriso mesto lo fece ridere. Midas si stava occupando di tutti i documenti, ma ciò non significava che fossero completamente fuori dai guai. Il giorno prima avevano trascorso un'ora nel suo ufficio a firmare un documento dopo l'altro per formalizzare il loro matrimonio, la cittadinanza di Belle e il cambio di nome, l'assicurazione e tutte le altre probabilità e conseguenze che si accompagnavano a un grande cambiamento di vita come quello.

    "Il tuo bouquet?".

    "Dove mi ha chiesto se poteva occuparsene" al suo sguardo interrogativo, Belle scrollò le spalle "Sono sicura che andrà bene".

    Poiché Dove si stava dimostrando spaventosamente competente, Gold era propenso a concordare con lei "C'è qualcos'altro di cui hai bisogno?".

    Lei scosse la testa "Non credo".

    "In tal caso, ti dò la buonanotte" si chinò per il bacio della buonanotte, un rituale che - come le loro partite a scacchi dopo cena - si era sviluppato nel corso dell'ultima settimana. Belle era una persona tattile e le piccole carezze e i tocchi che gli offriva facevano di più per centrarlo e radicarlo di qualsiasi altra cosa avesse mai conosciuto. Poteva anche essere un matrimonio di convenienza, ma per Belle era più di una semplice transazione. Ogni volta che lo toccava, gli diceva senza parole che per lei era importante. Era da molto tempo che Gold non contava per nessuno.

    Belle inclinò la testa all'indietro per ricambiare il bacio, corrugando la fronte "Non vieni a letto?".

    "Dormirò nel mio ufficio stasera. Penso di incontrare Midas per colazione. Verrà qui, dopo, per accompagnare te, Dove e tuo padre in spiaggia".

    Il suo viso si schiarì "Porta sfortuna vedere la sposa prima del matrimonio, vero?".

    Gold non era superstizioso e non credeva nella fortuna, ma parte di lui si aggrappava a quella tradizione. Era sciocco. Si era assicurato di non vedere Milah prima che camminasse fino all'altare ed era finita in un disastro. Non c'era motivo di credere che evitare Belle per le prossime dodici ore avrebbe fatto qualsiasi cosa per garantire la loro felicità futura.

    Tuttavia, non poteva far male.

    "Qualcosa del genere".

    Quando fece un passo indietro, Belle gli prese la mano e lo tirò di nuovo a sè "In tal caso, ho bisogno del mio bacio del buongiorno in anticipo" spiegò

    Ridacchiando, Gold cedette. Non era mai stato affettuoso, ma non era affatto difficile baciare Belle. Le loro sessioni di pratica erano più che gradite.

    "Se hai bisogno di qualcosa, mandami un messaggio" le disse prima di darle un bacio finale.

    Si era appena sistemato sul divano del suo ufficio, quando il suo telefono squillò. Lo prese, sorridendo quando vide ciò che c'era scritto:

    "Buona notte, Diarmid. Sogni d'oro!"

    Ricambiò il sentimento prima di mettere da parte il telefono e spegnere la luce, disteso a guardare il soffitto buio. Domani, in quel momento, Belle avrebbe condiviso qualcosa di più della sua casa e del suo conto in banca. Avrebbe condiviso il suo nome.

    Gold era stato molto attento a lasciare quella decisione a Belle. Se avesse optato per mantenere il suo cognome da nubile, non avrebbe mai detto una parola, ma non poteva negare che sarebbe stato contento se avesse scelto di prendere il suo. Come i baci e i suoi tocchi affettuosi, era un segno che questo matrimonio era più che un affare per lei. Non tollerava solo la sua presenza come un male necessario, Belle voleva la stessa cosa che voleva lui: costruire una vita insieme.

    Quella consapevolezza gli permise di bandire finalmente l'unica ombra persistente sulla sua felicità: il pensiero del misterioso ragazzo del Maine. Nelle ultime due settimane, aveva permesso a un'osservazione disinvolta fatta da un uomo facilmente confuso di inquietarlo e ora Gold scosse la testa. Se c'era davvero un ragazzo, Belle non aveva fatto nessuno sforzo per contattarlo da quando si era trasferita nel Maine, quindi chiaramente non poteva essere così importante per lei. Più probabilmente, Moe era semplicemente stato confuso e non c'era mai stato davvero questo ragazzo.

    Contento di questa idea, Gold scivolò facilmente in un sonno senza sogni e si svegliò presto il mattino successivo. Aveva avuto la lungimiranza di riporre i suoi articoli da toeletta nel bagno al piano di sotto e si prese tutto il tempo per la sua routine mattutina, volendo apparire al meglio. Era il giorno del suo matrimonio, dopo tutto.

    Secondo i suoi ordini, la governante aveva fatto lavare a secco il suo vestito preferito e rimase soddisfatto del riflesso che vide allo specchio una volta pronto. Senza dubbio, la sabbia sarebbe stata un problema con le sue scarpe ordinatamente lucidate, ma almeno Belle avrebbe saputo che aveva cercato di fare uno sforzo.

    Il pensiero della sua futura sposa gli fece alzare gli occhi al soffitto con un sorriso mentre tendeva le orecchie, chiedendosi se stesse facendo la stessa cosa al piano sopra di lui. Il pensiero di preoccuparsi dei suoi capelli in modo che fosse carina per lui gli fece girare lo stomaco. Per un anno e mezzo, lui e Belle erano stati amici e Gold non aveva mai osato immaginare che potesse essere disposta ad essere di più. Ora sarebbe diventata sua moglie.




    In onore di quell'occasione speciale, Gold optò per un panino alla cannella per colazione invece della sua solita fetta di toast, consapevole che Midas stesse sorridendo più del solito.

    "Anche la leggenda ha ceduto".

    "Scusa?".

    "Le tue mani tremano" osservò l'altro uomo.

    In fretta, Gold posò il cucchiaino che stava usando per mescolare il suo caffè "Ma smettila".

    Midas alzò le mani in modo conciliante "È meravigliosa, Diarmid. Auguro a voi due nient'altro che tanta felicità”.

    "Lo è, vero?" Gold bevve un sorso del suo caffè, i suoi occhi si persero nel vuoto mentre pensava alla sua sposa. Aveva imparato di più su Belle in due settimane di quanto non avesse fatto nei precedenti diciotto mesi e tutto ciò che aveva imparato gliel'aveva solo fatta ammirare di più. Aveva scelto bene.

    Midas ridacchiò "Hai bisogno di una donna che possa darti del filo da torcere".

    Gold non era del tutto sicuro di approvare quel sentimento "Belle sarà una moglie ideale".

    Sebbene gli occhi di Midas brillassero di allegria, non rispose, scegliendo di reindirizzare la conversazione sulla questione più urgente della cittadinanza di Belle e Moe. Sistemare quel problema sarebbe stato un vero problema, ma come qualsiasi altro problema, usare abbastanza soldi alla fine lo avrebbe fatto sparire. Nel frattempo, Gold avrebbe sfidato chiunque a provare a deportare sua moglie. Aveva aspettato troppo a lungo perché Belle si separasse da lui adesso.

    Mentre finivano di mangiare, Midas abbassò lo sguardo sul suo orologio e spalancò gli occhi "Meglio andare, a meno che tu non voglia che tua moglie arrivi in ritardo per il tuo matrimonio".

    "Dille che non vedo l'ora di vederla" quando Gold prese il suo portafoglio, Midas fece un cenno con la mano.

    "Offro io. Non è tutti i giorni che ti sposi".

    Detto questo, se ne andò, lasciando Gold ad avviarsi in spiaggia per assicurarsi che tutto fosse pronto. Sperava che Belle sarebbe rimasta soddisfatta dell'arco di legno che aveva ordinato per essere eretto nel punto prescelto.

    Quando raggiunse la spiaggia, annuì soddisfatto. L'arco era pronto, decorato con foulard di seta bianca e accentuato con girasoli, il fiore preferito di Belle. Sotto, attendeva Archie Hopper, l'officiante che Gold aveva scelto in gran parte per velocizzare le cose.

    "Una bellissima giornata per un matrimonio!" Hopper cinguettò non appena fu a portata d'orecchio.

    Lo era davvero. Il tempo era stato dalla loro parte, mai una garanzia nel Maine. Il sole era abbastanza caldo da compensare la brezza che veniva dal mare e le nuvole che punteggiavano il cielo blu erano innocuamente bianche e soffici, promettendo una bella giornata.

    Tutto era esattamente come doveva essere, il che significava che non aveva altro da fare che aspettare. Gold infilò una mano nella tasca della giacca per cercare l'anello di Belle, verificando che il cerchietto di platino fosse ancora lì. Con la mano libera, si lisciò i capelli nel punto in cui la brezza li aveva arruffati, seccato di notare che Hopper lo stesse guardando con la coda dell'occhio.

    Resistette alla tentazione di controllare l'orologio.

    Alla fine, dopo quelli che sembrarono parecchi anni di attesa, la macchina di Midas apparve in lontananza e gli occhi di Gold la seguirono finché non si fermò accanto alla Cadillac e Belle uscì dal veicolo.

    "Oh" mormorò, sentendo appena Hopper che gli stringeva la parte superiore del braccio.

    Indossava il vestito verde che avevano scelto insieme durante la loro visita alla boutique di Ariel, quello che aveva deciso fosse il suo preferito. I suoi capelli erano raccolti e tenuti in posizione da fermagli scintillanti, lo stile più elaborato di qualsiasi cosa le avesse mai visto addosso. Invece di rischiare il collo indossando i tacchi alti sulla spiaggia rocciosa, aveva optato per scarpe da tennis eleganti e, quando lo sorprese a guardarle, allungò un piede verso di lui, il suo sorriso mozzafiato.

    Moe si guardava attorno con interesse, ma si mise al passo senza discutere quando Belle lo afferrò per un braccio e si diressero verso l'arco, Midas e Dove seguivano un passo indietro. Aveva tra le mani un mazzo di qualcosa che brillava alla luce del sole, ma non capì fino a quando non fu vicina. Al posto dei fiori veri, aveva una mezza dozzina di rose di metallo che erano state accuratamente modellate, tutte tenute insieme con un nastro di seta bianco, e Gold avrebbe scommesso ogni centesimo che Dove e Moe le avevano fatte per lei.

    Un groppo si formò in gola per quel gesto e lo ingoiò con difficoltà, rifiutandosi di far intromettere pensieri malinconici in quel giorno. Come sarebbe stato avere la benedizione di un genitore amorevole nel giorno del suo matrimonio? Come sarebbe stato un giorno dare la sua benedizione a suo figlio?

    Non aveva senso pensare a cose del genere quando la sua sposa camminava verso di lui, i suoi occhi che brillavano.

    “È bellissimo" gli disse a bocca aperta, chiaramente consapevole di essere ancora troppo lontana per sentirlo.

    “Anche tu" mormorò lui, con lo stomaco che si contorse quando lei arrossì.

    All'improvviso, fu di fronte a lui, e quando Gold allungò una mano verso di lei, la sua mano scivolò nella sua come se fosse naturale. Sentì a malapena Hopper schiarirsi la gola e iniziare.

    "Benvenuti, amici".

    Secondo le istruzioni di Gold, fu una cerimonia semplice e moderna che celebrava il fatto che due persone avessero scelto di unirsi per la vita insieme dicendo il meno possibile sull'amore. In meno di dieci minuti, si erano scambiati anelli e voti e sembrava che non fosse passato affatto tempo prima che Hopper gli dicesse che poteva baciare la sua sposa.

    Facendo scivolare il braccio attorno alla vita di Belle, Gold fece proprio quello, elettrizzato al pensiero di poter baciare sua moglie. Le sue labbra erano morbide e calde sotto le sue e potè sentirla sorridere. Adesso era sua e avrebbero fatto in modo che funzionasse. Quel matrimonio sarebbe stato diverso. Belle era tutto ciò che Milah non era: amica, partner e sostegno, proprio come sarebbe stato lui per lei. Le avrebbe dato tutto quello che voleva e in cambio avrebbe riempito tutti i posti della sua vita che erano stati vuoti per troppo tempo.

    "Quando possiamo andare via?".

    Belle si staccò dal bacio con una risata alla lamentela di suo padre. Con gli occhi luccicanti, si voltò verso di lui senza uscire dall'abbraccio di Gold "Sono sposata, papà!".

    "Non c'era qualcosa che volevi dire a Belle?" Dove spinse delicatamente Moe.

    "Voglio andare a casa" la informò.

    Dove fece loro un sorriso di scuse prima di chinarsi per incontrare gli occhi di Moe “Belle si è appena sposata. Che cosa le vuoi dire?".

    Belle sollevò il suo bouquet di metallo come se stesse ricordando a suo padre che l'aveva fatto lui e il viso di Moe si illuminò "Oh, sì! Congratulazioni!".

    Gold sorrise indulgente quando sua moglie si gettò tra le braccia di suo padre, abbracciando Moe con forza. L'uomo le diede una pacca sulla schiena, sembrando un po' confuso, ma c'era qualcosa di bello nel modo in cui appoggiò il mento contro la sua testa.

    "Congratulazioni, Diarmid" disse piano Midas, distogliendolo dal suo esame della sua sposa.

    "Grazie" accettò la mano offerta dal suo avvocato.

    "Non rovinare tutto" gli consigliò Midas con una risatina prima di rivolgersi a Belle, che aveva appena rilasciato suo padre "E congratulazioni anche a lei, signora Gold".

    "Signora Gold” ripeté Belle, scuotendo la testa meravigliata "Ci vorrà un po' per abituarmi".

    "Ti sta bene" la informò Hopper.

    Belle prese Gold sotto braccio e lo guardò quasi timidamente "Lo penso anch'io".

    A quel punto, dovette baciarla di nuovo, e quando ebbe finito, Midas e Hopper erano a metà strada verso le loro macchine mentre Dove e Moe esploravano con calma il litorale "Mi piacerà essere sposata" annunciò Belle.

    "Davvero?".

    “Mm-hmm. Ora che sei mio marito, devi baciarmi quando voglio".

    Gold rise forte a quelle parole "Penso di poterlo gestire".

    Sperava piuttosto che decidesse che un altro bacio fosse esattamente quello che voleva, ma Belle si voltò a guardare invece suo padre. Lui e Dove si stavano chinando per ispezionare le rocce che costituivano il litorale, il vento ad arruffargli i capelli radi "Sono contenta che possa essere qui. Non sono sicura di quanto capisca della situazione, ma sono davvero contenta che sia venuto al nostro matrimonio".

    "Penso che capisca un bel po'" il più delle volte, Moe era distratto dai propri pensieri, ma Gold era disposto a scommettere che stava capendo più di quanto sembrasse.

    "Ha fatto questo" Belle alzò il mazzo "Non ci potevo credere".

    Da vicino, le rose di metallo erano ancora più impressionanti. Gold tracciò il bordo di un petalo con la punta del dito "La lavorazione è squisita".

    "Era solito fare cose del genere tutto il tempo" il sorriso di Belle fu triste "Sono contenta che Dove lo stia aiutando a tornare un po' in sè".

    "Dove potrebbe averlo aiutato, ma ha creato lui quei fiori per te" le ricordò Gold, rifiutandosi di farla sentire in colpa per eventuali mancanze percepite "Lo ispiri".

    Gli occhi di Belle scintillavano di lacrime e, prima che potesse asciugarli, lei si infilò una mano in tasca per recuperare un quadrato di seta blu molto familiare per asciugarsi gli occhi. Notando il suo sguardo, gli sorrise imbarazzata.

    “Ho preso in prestito uno dei tuoi fazzoletti. Spero non ti dispiaccia".

    Il pensiero di aver scelto di portare con sé uno dei suoi fazzoletti da tasca durante il loro matrimonio lo scaldò dentro "Non mi dispiace affatto. Quello che è mio è tuo. Tienilo".

    "No!" i suoi occhi si spalancarono "Te lo restituirò. Volevo solo prenderlo in prestito, tutto qui".

    "Belle..." Gold lasciò cadere la frase, non riuscendo a capire perchè sua moglie sembrasse così inorridita dall'idea di tenere il fazzoletto. Nel grande schema delle cose, non era un oggetto prezioso.

    Sua moglie abbassò lo sguardo "Le mie scarpe sono vecchie".

    Il non sequitur gli fece battere le palpebre un paio di volte, poi capì "Il tuo vestito è nuovo".

    "Non avevo nulla di blu o preso in prestito, quindi ho preso due piccioni con una fava" Belle fece un piccolo cenno al fazzoletto da taschino, sventolandolo nella brezza.

    "Comodo" Gold le prese di mano il quadrato di seta e lo infilò nella tasca della giacca "Grazie per averlo restituito".

    Sospirò di sollievo nel momento in cui le prese la mano "So che è stupido, ma...".

    "Sono quello che ha scelto di dormire nel suo ufficio la scorsa notte" le ricordò Gold. Entrambi si erano abbandonati ad un po' di magia, ma che c'era di male? Considerando il loro inizio non convenzionale, c'era qualcosa di confortante nell'onorare quelle tradizioni.

    "Esattamente! Sapevo che avresti capito" Belle si appoggiò a lui, la testa contro la sua spalla "Sarai un buon marito".

    "Ci provo".

    Quando il sole si tuffò dietro una nuvola, il cambiamento di temperatura fu immediatamente percepibile. Gold si tolse la giacca per avvolgerla intorno alle sue spalle quando lei rabbrividì "Sei pronta per tornare a casa?".

    "Tra un minuto".

    Belle si allontanò da lui per esaminare le pietre ai suoi piedi con un'espressione concentrata. Gold la osservò, perplesso, mentre prendeva diversi sassi per guardarli più da vicino prima di scartarli di nuovo.

    "Cosa stai facendo?"

    Emise un urletto di gioia quando raccolse una pietra perfettamente rotonda, talmente grigia che sembrava quasi bianca. Infilando la pietra nella tasca della gonna, si alzò di nuovo e si voltò verso di lui "Volevo un ricordo".

    Voleva qualcosa che la aiutasse a ricordare quel giorno e il cuore di Gold iniziò a battere un po' più veloce nel suo petto per quel gesto romantico "È un'idea adorabile".

    "Ora sono pronta" Belle si sporse per baciargli l'angolo della bocca “Va bene, marito mio. Andiamo a casa".


    Continua...
  15. .

    Capitolo 3



    Tornarono velocemente a riva, ma non c'era ancora servizio telefonico e nemmeno una barca. Imperterriti, seguirono il litorale, sperando di trovare qualche segno di vita. Passarono le ore e il cielo torbido iniziava a presagire una tempesta. A Cameron non importava, avrebbe sfidato una tormenta prima di tornare in quella casa.

    Aggirarono la casa, mantenendosi a distanza e tuttavia sembrava come se quella li seguisse. Cameron non riusciva ancora a scuotersi di dosso l'opprimente sensazione di quel luogo.

    Avevano fame, sete e freddo e a turno dovevano rispondere al richiamo della natura proprio lì, nel mezzo del... beh, della natura, e quando le cose cominciavano a sembrare un po' senza speranza, videro un piccolo peschereccio appena al largo. Urlando e facendo segni con le braccia, riuscirono a catturare l'attenzione dell'uomo a bordo, che lasciò cadere l'ancora e remò fino a terra con una scialuppa di salvataggio per andarli a prendere.

    Alto e magro, l'uomo sembrava essere sui 70 anni, con barba argentata che era stata accuratamente tagliata e che risaltava sulla sua pelle scura, portando l'aura di un uomo che conosceva il mare. Nei suoi occhi c'era un luccichio di umorismo, gentilezza e saggezza.

    Cameron non era mai stata così felice di vedere un altro essere umano nella sua vita e si trattenne a malapena dall'abbracciarlo.

    "Cosa diavolo state facendo qui?" chiese l'uomo.

    "Stavamo solo... esplorando" disse House, dando un'occhiata a Cameron "E la nostra barca si è allontanata al largo".

    Salirono sulla scialuppa e l'uomo si allontanò dalla riva e cominciò a remare di nuovo verso la sua barca "Beh, è una buona cosa che sia uscito oggi. Nessuno tranne me esce molto ora. E c'è una tempesta in arrivo. Mia moglie Estelle mi ha detto e ridetto di restare a casa, ma..." si interruppe e ridacchiò "Beh, non posso farne a meno. Ho un piccolo Capitano Achab dentro di me. Mi chiamo Henry Matthews, a proposito".

    "Io sono Allison Cameron" disse Cameron, cercando di sorridere mentre teneva gli occhi sulla casa in lontananza ed essa la guardava di rimando.

    "House" disse House, massaggiandosi la gamba "Sa che il Capitano Achab è un personaggio immaginario, vero?".

    Henry rise, una risatina generosa che veniva dal profondo "Sì, signore. Sì. Il mio punto era che non mi piace perdere un giorno senza stare in acqua, cercando di catturare un grosso pesce".

    "Ah" rispose House semplicemente "Questo ha più senso".

    Cameron gli lanciò un'occhiataccia e passarono il resto del viaggio in silenzio. Qualche istante dopo, salirono a bordo della barca da pesca di Henry e lui assicurò la zattera di salvataggio.

    "Benvenuti sulla Jolly Jane" disse l'uomo "Non è carina, ma è solida. Ci riporterà sulla terraferma in poco tempo".

    Lo scafo era blu brillante, con due strisce rosse, una piccola cabina di pilotaggio di legno che sporgeva dal ponte e tutto il resto puzzava di pesce. Agganciata da un lato vi era una vecchia bici con un cestino metallico sul davanti. Era una cosa strana da avere su una barca e Cameron la guardò con curiosità per un momento.

    Henry la vide a fissarla mentre si muoveva per prendere il timone e accendere il motore "Il gas è diventato troppo costoso e ho dovuto scegliere tra il camion e la barca. Ho rinunciato al camion e ho iniziato a pedalare. Mi mantiene in forma" disse, facendole l'occhiolino "La guido fino al pontile e torno indietro. Di solito mi fermo al mercato per prendere qualcosa per Estelle. Quella donna vuole sempre qualcosa".

    Sebbene si lamentasse di Estelle, c'era un affetto nella sua voce che Cameron trovò accattivante. Non aveva dubbi che gli piacesse segretamente fare commissioni per sua moglie "Sono sicura che lei lo apprezzi" gli offrì, aggiungendo un piccolo sorriso quando lui rise in risposta.

    Una leggera pioggia aveva cominciato a cadere e l'acqua iniziava ad agitarsi. Cameron era in piedi di fronte all'isola, preoccupata perchè Henry aveva dimenticato di sollevare l'ancora e la casa non era ancora diventata più piccola. Era convinta che le finestre della camera da letto al piano di sopra si fossero trasformate in un paio di occhi malevoli, fissandola da lontano. House era in piedi accanto a lei e la guardava, ma dopo un momento diede le spalle all'isola, prendendola per un braccio e allontanandola da lì. Nessuno dei due disse una parola fino alla fine del viaggio, attraccarono nell'assonnata insenatura di Silver Pine Beach, le luci della città ad illuminare il cielo grigio del pomeriggio.

    "Devo sistemare questa cosa prima che la tempesta arrivi. Ma l'hotel si trova a circa un chilometro da quella parte" disse Henry, puntando verso ovest "Signori, vi auguro una buona serata".

    "Sicuro che non possiamo aiutarla?" Cameron propose, ignorando il cipiglio di disapprovazione di House.

    "Nah. Andate e mettetevi al coperto prima che il tempo peggiori. Io starò bene".

    "Potremmo offrirle qualcosa per il suo aiuto, almeno. Saremmo ancora bloccati là fuori se non fosse passato".

    "No, signorina, è stato un piacere per me" disse, toccandosi il cappello.

    Cameron lo ringraziò e poi lo lasciarono al suo lavoro, camminando in direzione di un cartello giallo brillante come se fosse la stella di David che li conduceva alla mangiatoia. Qualunque cosa superassero, salvo il supermercato, era chiuso per la stagione, come in molte città turistiche della riva del Jersey. Si fermarono brevemente a prendere qualche snack e dell’acqua e poi si affrettarono per la loro strada.

    "Quanto lontano pensi che sia la tua auto?" chiese Cameron.

    "Difficile a dirsi" rispose House semplicemente. Aprì la bottiglia di acqua, ne bevette metà e poi la passò a lei.

    Prese la sua breve risposta come segno che non voleva parlare e così non disse nulla e bevette il resto dell'acqua, rendendosi conto allora che non aveva avuto niente da bere da più di un giorno. Lui si appoggiava più pesantemente del solito al suo bastone e lei si preoccupò del suo dolore e degli effetti della loro avventura sulla sua gamba.

    La tempesta scatenò tutta la sua furia pochi istanti dopo il loro arrivo in hotel. Un forte vento soffiava lateralmente la pioggia e minacciava di staccare il cartello che li aveva portati lì. Dentro, la hall era animata dalla solitudine di una città costiera in bassa stagione. Appresero che diverse città vicine erano state evacuate a causa della tempesta. La signora dietro la scrivania diede loro una chiave per l'ultima stanza disponibile e salirono.

    Cameron non vedeva l'ora di una doccia calda e un letto morbido e un rifugio libero da ospiti indesiderati. House rimase silenzioso e di cattivo umore, quasi inquieto.

    Nella loro stanza, lui si lasciò cadere sul letto e prese un Vicodin e poi tirò fuori il cellulare per controllare la rete. Sembrava oltremodo stanco, come se avesse passato venti anni nelle ultime 24 ore. Cameron sentiva come se lo spirito della casa fosse rimasto con loro, un ospite non invitato.

    Afferrando la sua sacca da viaggio dall'angolo del letto, House cercò dentro e tirò fuori le buste del supermercato, aprendole e scaricando il contenuto sul letto. Tirò fuori una maglietta e un paio di pantaloni della tuta con la scritta “Silver Pine Beach” su una gamba. Li lanciò a lei, indicando verso il bagno "Vai tu per prima. Io chiamo Wilson".

    Fu sorpresa di apprendere che le aveva comprato dei vestiti, lei non ci aveva nemmeno pensato e non si ricordava di averlo visto prendere altro se non cibo spazzatura, era stato così intento in quello che aveva addirittura temuto che avrebbero fatto troppo tardi. Toccata, sbatté le palpebre e gli sorrise in segno di ringraziamento, dirigendosi verso la sua bella doccia calda.

    Quando ritornò in camera, House sembrava peggio di prima, seduto sul bordo del letto con la testa tra le mani.

    "House, cosa c'è che non va?" chiese, sedendosi accanto a lui.

    "La gamba fa male" disse e lei capì immediatamente che era solo parte della storia. Prima che potesse interrogarlo ulteriormente, lui afferrò le sue cose e zoppicò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.

    Mentre aspettava, Cameron piegò ordinatamente i vestiti e li mise nella sua borsa. La tempesta fuori si era intensificata, la pioggia sbatteva contro la finestra e i tuoni si schiantavano come giganti del cielo. Accese la lampada accanto al letto e controllò il suo cellulare per i messaggi.

    Pochi istanti dopo ritornò House, vestito con una tuta come quella che aveva comprato per lei e una maglietta con la stampa di una pigna gigante. I suoi capelli erano umidi e sparati e, anche se sembrava completamente stanco, sembrava anche dannatamente affascinante e il suo cuore iniziò a battere con l'affetto per quell'uomo complesso che la agitava e la affascinava.

    "Che cosa ha detto Wilson?" chiese, dando una pacca sul letto accanto a sè.

    "Ha detto che non può guidare fino a qui in questo momento" mormorò, indicando il monsone fuori dalla loro finestra "Ci proverà domani".

    "Come sta Pearl?".

    La sua testa si girò di scatto per guardarla e strinse gli occhi "Cosa ricordi di Pearl?".

    "Cosa intendi?".

    "Voglio dire, io l'ho vista solo per circa cinque secondi. Tu hai raccolto la sua storia. Cosa ricordi?".

    Scrollando le spalle, disse "Pearl Cottin, 87 anni, altezza media con una leggera corporatura. Ha mostrato segni di debolezza, difficoltà respiratorie, palpitazioni cardiache e paralisi".

    "Ha qualche familiare?".

    "No, non credo. Non ha elencato parenti o contatti di emergenza. Perché? Cosa sta succedendo?".

    Strofinandosi il viso, si appoggiò contro i cuscini e rispose "Wilson ha detto che non avevamo alcuna paziente di nome Pearl. Il nostro ultimo paziente è stato il ragazzo diciassettenne con la Sindrome di Stendhal".

    "Ma... ma è impossibile" quasi urlò Cameron "L'ho vista. Tu l'hai vista. Non l'abbiamo inventata. Abbiamo eseguito dei test su di lei e tanto altro. Che dire di Chase e Foreman? Li hai lasciati a capo delle sue cure. Devono saperlo".

    "Hanno detto a Wilson che io e te siamo usciti insieme e che non avevano idea di dove stessimo andando".

    "È impossibile" ripeté lei "Che diavolo sta succedendo?".

    "Non lo so. Forse è uno scherzo".

    Non sapeva cosa rispondere. Non aveva risposta per nulla. L'intera cosa era così strana e ridicola. Aveva ricoverato una dolce vecchietta e aveva ascoltato la sua storia. Non ci aveva visto nulla di strano, ne era certa tanto quanto due più due fa quattro.

    "Lo scopriremo" disse House, allungando la mano e chiudendole la bocca aperta "In questo momento, proviamo solo a dormire un po'".

    Si alzò e tirò giù le coperte, scivolando sotto e allungando un braccio a mo' di invito. Rannicchiarsi accanto a lui sembrò quasi naturale, pensò, come se fossero abituati a condividere un letto. Si sistemò contro il suo fianco, una mano poggiata sul suo petto, a suo agio e al caldo per la prima volta da quando avevano iniziato quella strana avventura. Eppure, il sonno continuava a non arrivare mentre la sua mente, e quella di lui, ne era sicura, provava a svelare il mistero di Pearl.


    Continua...
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