| l`input x questa ff me l`ha dato alcune frasi di una canzone di A. Venditti:
“… ma se penso che l’amore è darsi tutto dal profondo in questa nostra storia sono io che vado a fondo… … e se amor che nullo amato amore amore mio perdona in questa notte fredda mi basta una parola…” Ci vorrebbe un amico
ah, prima che andiate a leggere e, magari, vi sentiate confusi verso l'inizio (XD) nn è proprio yaoi... l'amicizia può essere così profonda da passare x amore? secondo me, perchè no? ed io la trovo + importante dell'amore... x cui... nn lo sa bene nemmeno lui! XD
Buon Compleanno
Ed un altro giorno è passato, altre ventiquattro ore sono terminate e non è cambiato nulla. Ma cosa doveva cambiare? Io? Te? No, impossibile. Siamo già cambiati molto da quando ci siamo conosciuti! Già… quanto tempo è passato… anni… molti… eppure è strano pensare come con alcune persone si instaurino certi rapporti che vanno al di là del tempo. Per quanti anni possano passare e per quante cose possano succedere, sapere che quella persona c’è ed è lì per te è una cosa meravigliosa. Ed io so con certezza che tu ci sei, che ti preoccupi per me. Ed allora perché questo non mi basta più? Perché sento un vuoto dentro, come se mi mancasse qualcosa, e quel vuoto mi fa mancare l’aria tanto che mi sembra di morire? Certe volte, anche mentre sono al lavoro, mi viene da pensare a come sarebbe la mia vita senza di te, oppure ai tuoi occhi color del cielo, più splendenti di due diamanti e capaci di trasmettere tutte le preoccupazioni, le speranze e le paure che ti attraversano l’anima, ed allora è come se non riuscissi più ad andare avanti ed è difficile nascondere il tutto e far finta di niente, come fai te. Ed è gioia, ed è dolore. Ma c’è una parola che le unisce entrambe: amore. Ma è amore quello che io provo per te? Non lo so… so solo che ho ‘cambiato’ molte donne, sono passato da una all’altra fin troppo facilmente, solo per il gusto di provare qualcosa di diverso, come se nessuna di loro avesse quel non so che capace di attirarmi fino in fondo… so che l’unica cosa certa che ormai mi è rimasta nella vita è la mia stima, il mio rispetto, verso di te. La mai completa fiducia in te. L’unica cosa che mi è rimasta sei TE. Nemmeno il mio lavoro è molto certo, perché ci sei te nel mezzo; sono stato mandato via dall’amministrazione perché ti ho difeso e non sarei neanche dispiaciuto di lasciare il lavoro, se fosse per stare dalla tua parte. Ma non mi aspetto nulla da te, non mi aspetto e non pretendo nulla. Il nostro rapporto è bello proprio perché spontaneo, non ci sono parole o scritte che lo definiscono: è, esiste, e questo è tutto quel che conta. E questa è la gioia. Ma la vera felicità sta nel vedere contenti e sereni le persone a cui sei affezionato anche se dentro di noi si sta male, per questo ti appoggio in ogni tua decisione e ti starò accanto sia che tu torni da Stacy, sia che tu scelga Cameron.
“Che ci fai qui, a quest’ora?” chiese Gregory House avvicinandosi alle spalle dell’amico e collega che si trovava appoggiato al cofano della propria auto. “Guardavo le stelle.” rispose questo senza voltarsi. “Oh… in città è proprio il massimo dello spettacolo.” disse fermandosi accanto a Wilson e alzando lo sguardo al cielo. “Questione di punti di vista.” rispose il biondo voltandosi verso House. “Immagino di sì…” disse Gregory “Geena?” domandò. “A casa credo… è da oggi pomeriggio che non la sento…”, gli occhi che ritornarono dal dottore al cielo notturno, come a voler scacciare altre parole. “Dai andiamo… guido io.” disse House con un occhiata che non ammetteva repliche. E così i due medici salirono in una sola macchina, quella di Gregory House. “Perché sei venuto all’ospedale?” domandò ancora l’uomo alla guida dell’auto. “Non avevo sonno… stavo girovagando, e ho deciso di fermarmi lì.” rispose Jimmy e guardò l’orologio della macchina: l’1.45 a.m. del 28 febbraio 2006. Altri 15 minuti e sarebbero stati, precisamente, trentasette anni che era nato. “Dove stiamo andando?” chiese dopo un po’, visto che la strada che stavano percorrendo non li avrebbe condotti al suo appartamento. “Ho sete…” rispose semplicemente l’autista. “E non potevi bere a casa mia?” “…” Quando si fermarono, dieci minuti dopo, si trovarono davanti ad un bar aperto, nonostante l’ora.
“Una bottiglia di vino.” disse House al barista. “Vino?” domandò stupito Wilson. “Vuoi qualcos’altro? Una birra, spumante…” “Non mi preoccupavo per me… hai preso il vicodin prima di uscire dal Central Hospital?” rispose serio il medico. “Non stare a pensare al vicodin, adesso!” “E quando allora? Hai preso il vicodin?” ripeté ancora, deciso, James Wilson. “Non di recente, contento?” rispose scocciato House “Una bottiglia di vino.” confermò al cameriere e i due presero posto ad un tavolino. Pochi istanti dopo il barista tornò con la bottiglia di vino e due bicchieri che riempì per metà prima di andarsene. Gregory prese il suo bicchiere e lo avvicinò a quello dell’amico, provocando il famoso ‘cin cin’, prima di andare a berne il contenuto. “Grazie.” disse Wilson prima di assaporare anche lui il vino. “Di cosa?” chiese House facendo finta di non capire a cosa si riferisse il biondo. “Di questo… so che non t’interessano i compleanni, eppure…” “Ti sbagli, non ci pensavo affatto. Avevo solo voglia di bere, tutto qui.” disse l’uomo tornando a dedicarsi al liquido nel proprio bicchiere. “Non sai mentire…” l’informò Wilson e finì anche lui il proprio vino. Rimasero nel locale per più di mezz’ora, chiacchierando e bevendo. Alla fine il dottor House pagò il conto e uscirono. “E’ meglio che guidi io…” disse Jimmy sapendo che l’altro aveva bevuto più di lui. “Speravo lo dicessi.” rispose Gregory lanciandogli le chiavi ed estraendo dalla tasca della giacca una confezione di pasticche, mentre l’altro lo guardava sconcertato. “Non puoi prendere il vicodin ora!” “Ancora con questo ‘vicodin’? Tanto guidi tu!” disse House ingoiando la pasticca bianca e prendendo posto nel lato passeggero. Wilson scosse la testa, arreso, e salì in macchina. Il viaggio fino a casa di Greg fu silenzioso e quando arrivarono l’ormai trentasettenne dottore si accorse anche del perché, l’amico si era addormentato.
E questa è la gioia.
Quando House si svegliò fu per il freddo, nonostante avesse un cappotto posato su di se. Ancora un po’ intontito dal sonno guardò l’orologio e si chiese che cosa ci facesse addormentato nella propria auto alle 5.03 del mattino e con un cappotto che non era il suo. Si voltò verso il lato dell’autista e vi trovò James addormentato e senza cappotto. “Ehi,” lo chiamò House, scuotendolo leggermente per un braccio. “Mhm?!” “volevi suicidarti o cosa?” “Di che stai parlando?” domandò ancora assonnato Jimmy. “Del freddo… il tuo giubbotto l’hai dato a me, con tutto questo freddo. Potevi svegliarmi così s’entrava in casa, o trentasette anni ti sono sembrati troppi da sopportare?” “Scusa…” “Ah!” fece spazientito e rendendo il cappotto all’amico “Scendi dai!”
“Sarebbe questo il momento di toglierselo.” disse House visto che Wilson sembrava intenzionato a rimanere immobile nell’atrio di casa sua. “Ma…” “Hai intenzione di dormire lì, in piedi?” chiese Gregory “Santo cielo… che ti prende, vuoi per caso tornartene a casa tua a quest’ora?” disse notando lo sguardo stupito di Jimmy. “La camera da letto sai dov’è, nel secondo ripiano del cassettone dovresti trovare un pigiama, se lo vuoi, ed il bagno sai dov’è, ma per ora ci vado io.” e, detto ciò, lo lasciò da solo. Dal canto suo, a Wilson, sembrava di vivere un’esperienza surreale e diede la colpa di tale sensazione al sonno e al vino. Comunque si diresse nella camera dell’amico dove indossò uno dei pigiami di Greg e si sdraiò sul letto osservando il soffitto. “Io sono uscito, se ti serve il bagno… Buona notte, io dormo sul diva…” disse Gregory entrando nella stanza e trovando Jimmy addormentato. Scossa la testa, “Tu vuoi proprio morire stanotte…”, e coprì l’amico con una coperta pesante; nonostante l’aria in casa era riscaldata dai termosifoni, faceva sempre freddo per dormire scoperti.
Un buon profumino arrivava dalla cucina. James Wilson, però, si svegliò al suono del telefono. “House. Sì. Sì. Oh… non ti assicuro che ritorni a casa con tutte le parti del corpo integre e in buone condizioni… sai, l’ho drogato con il vicodin ed ora mi stavo apprestando a farlo a pezzi per poi divertirmi a ricomporlo come un puzzle.” sentì dire sarcastico e acido a Greg, aveva risposto lui al telefono dalla stanza accanto. Erano le 12.25, Jimmy si alzò, si vestì e andò in cucina. “Era Geena?” chiese. “Oh, ti ha fatto bene dormire. Ora hai un intuito eccezionale… sicuramente meglio di quello di stamani.” rispose House finendo di apparecchiare la tavola. “Hai preparato te?” “Ok, ritiro quello che ho detto… Su che ho promesso a Geena di farti tornare a casa prima del turno al Central Hospital, se no poi non ti fa più uscire…” disse, sempre cinico, House.
Quando ebbero finito di pranzare e sparecchiato, questo lo fece Wilson, uscirono di nuovo di casa. House accompagnò il collega a riprendere la sua macchina. “Grazie di tutto.” disse James una volta arrivati. House non rispose. “Ci vediamo dopo.” “Jimmy.” chiamò House, dopo che l’altro fu sceso. “Sì?” “Buon compleanno.” disse e se ne andò lasciando Wilson con le labbra increspate in un sorriso, nonostante la triste dolcezza che emanava dagli occhi vedendolo andar via.
Ci sei e ti preoccupi per me. Ed è gioia, ed è dolore.
fine
Note:
1- la data del compleanno è quella di Robert Sean Leonard 2- devo ringraziare anche voi ^^ l'ho scritta dopo esser stata in questo forum, e alcune particolarità le ho apprese proprio qui, (ma è nata principalmente sotto richiesta e incitazione di una mia amica fanatica di dr house, di greg e jimmy, ma credo soprattutto dello yaoi in generale XD) 3- Geena è, ovviamente, un nome che ho scelto a caso... a parte vedere le puntate in tv, e nemmeno tutte, non ho avuto modo di approfondir le relazioni dei personaggi (soprattutto di Jimmy, che m'è parso molto incasinato ) 4- l'unica cosa che non mi piace di questa ff è che non son riuscita a trovare un sinonimo adatto per 'cappotto' |
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